Articolo a cura di Stefania Milani
Si dice che i momenti di crisi sono opportunità e io mi sono ritrovata orfana, abbandonata e messa in un angolo dall’hard rock e metal della mia band preferita (i Darkness), che sembra aver preso una strada diversa in cui proprio, per ora, non mi ritrovo.
Di conseguenza, come un’anima in pena, sola e pensosa, i più deserti campi musicali vo misurando a passi tardi e lenti, alla ricerca di nuovi e diversi approdi, nella speranza che sia solo un capitolo storto di questa grande storia d’amore.
Vi ho già parlato dei Massive Wagons, e Domenica 2 Febbraio sono andata al Rough Trade di Bristol a sentire The Hara, band formatasi nel 2017 e sopravvissuta alla pandemia, che ho conosciuto per passaparola.
Il primo approccio è stato attraverso la canzone Friends, dall’intro tradizionale in stile The Fratellis, dalla quale è poi partita tutta una playlist eclettica, duttile, di ricerca e sperimentazione che questi giovanissimi ragazzi di Manchester stanno portando avanti nei solchi consolidati del rock britannico, ma con la freschezza e l’innovazione della loro età, in un perfetto trait d’union tra nord e sud del Paese.
Personalmente, ho ascoltato tutte le canzoni senza annoiami un attimo, fino ad arrivare alle più recenti Trophy (visualizzazioni più che discrete su Youtube) e The System.
Quest’ultima mi ha immediatamente riportata al 1999 e alla scelta fra la pillola rossa e quella blu di Matrix: nemmeno a farlo apposta questa mia intuizione si è rivelata azzeccata, perché il tour che si sta concludendo questa settimana è tutto ispirato al film, per grafica e merchandising.
Ora, per una che ha letteralmente consumato il cd con la colonna sonora all’epoca, non poteva che essere simpatia a prima vista e ho quindi sottoscritto il loro Patreon, nel quale raccontano making of, analisi dei testi e aggiornamenti dal tour, interagendo con i fan.
La perplessità che quelli un po’ più attempati possono forse avere nei confronti del loro approccio musicale è sull’uso degli effetti artificiali della voce, sul filone delle band più giovani in circolazione, ma devo fare una precisazione: le qualità vocali del frontman Josh Taylor non si discutono, così come la sua carismatica presenza scenica, che ne fa una band potenzialmente da stadio, e le distorsioni sonore sono misurate e precisamente collocate nell’ambito di una evidente ricerca di genere, stile e tematiche che questa band sta portando avanti.
La generazione che rappresentano cammina sulla corda di un sistema fragile e corrotto, nonché distorto, come evidenziato nel brano The System, per cui l’uso che fanno degli strumenti a loro disposizione si fa accorto e intelligente, posizionato esattamente dove deve stare.
I testi dei The Hara spaziano dai contenuti politici-anti establishment (consiglio F.Y.I. e Fire), all’amore, l’amicizia, e la vita quotidiana, descritta con l’occhio di chi si guarda intorno con attenzione, fino al tema della morte e dell’aldilà.
La serata è stata una piacevole sorpresa.
Ad aprire, una giovanissima mela verde del metal, la band Eville, che con carattere e ottimo approccio ha dimostrato di non fare heavy metal per sbaglio o per caso, ma di avere qualcosa da esprimere attraverso la sua musica.
A fine performance la frontwoman è anche venuta a presentarsi ai fan, mentre da sola vendeva il proprio merchandising: l’ho trovata adorabile e suggerisco di cercarla su Instagram.

Poi i ragazzi hanno letteralmente infuocato la sala con una set list variegata e interattiva (in più di un’occasione lasciano scegliere al pubblico la canzone da cantare fra due opzioni), riuscendo ad offrire uno show partecipato, assoli interessanti e perfino cambi di costume, nonostante le dimensioni raccolte.
Sembrava di essere entrati nel Fight Club, tutto si stava consumando oltre quelle porte chiuse e nessuno ne avrebbe mai saputo nulla, mentre il Matrix veniva decodificato mostrando la reale società in cui viviamo.
Pubblico di tutte le età con una maggioranza di universitari, fino ai più adulti e maturi, sui cui volti si vedeva una benevole accondiscendenza.
Sono uscita dal Rough Trade canticchiando Trophy fra me e me, soddisfatta che qualcuno mi avesse messo di nuovo un po’ di adrenalina, rivoluzione, energia e carattere nelle vene.
Sono tornata a casa ascoltando il loro album più recente, Survival Mode, che di nuovo, per un’antica appassionata di Tekken come me, brano dopo brano, si snoda in un videogame a livelli fino al conflitto finale.
Non potevo andare a dormire con un menu più completo e spero di rivederli di nuovo, magari all’aperto, per godere della potenza della batteria in contesti più ampi.
Le canzoni che suggerisco per una prima idea, se siete curiosi:
– Friends
– F.Y.I.
– We All Wear Black
– Trophy
– The System
– Fire
– Afterlife
Membri:
Josh Taylor: Lead vocals and songwriter
Zack Breen: Lead guitar
Jack Kennedy: Drums
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