Paul McCartney
McCartney
17 Aprile 1970
Apple Records
genere: pop rock, folk rock
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Recensione a cura di Chiara Profili
Era passata solo una settimana dall’annuncio che aveva sconvolto i Beatlesiani di tutto il mondo. Paul McCartney aveva lasciato la strada vecchia per quella nuova, abbandonando i Beatles dopo un decennio incredibile, fatto di frenetiche tournée, dischi rivoluzionari e brani immortali, molti dei quali scritti a quatto mani con il compagno Lennon.
Il 17 Aprile del 1970, McCartney è pronto a spiccare il volo, come il piccolo merlo di cui lui stesso aveva cantato le gesta, qualche anno prima.
McCartney è il titolo di questo secondo lavoro solista del baronetto, ma potremmo dire il primo tenendo conto che The Family Way, del ’67, era la colonna sonora del film omonimo.
Semplicemente McCartney. Come a dire, basta il nome. Vi viene in mente qualche altra band di cui, la maggior parte delle persone, conosce nome e cognome di ogni componente? Quasi sicuramente la risposta a questo quesito sarà negativa, a simboleggiare quanto le individualità dei Fab Four siano sempre emerse in maniera spiccata.
Le carriere soliste di ognuno erano quindi il naturale proseguimento di un percorso che non poteva terminare con lo scioglimento del gruppo.
In verità, a questo disco Sir Paul stava già lavorando da qualche mese, quando i quattro di Liverpool erano ormai ai ferri corti e la loro fine era dietro l’angolo. Let it Be doveva ancora vedere la luce ed è ben noto come Ringo tentò invano di convincere McCartney a posticipare l’uscita del suo disco, per evitare che entrasse in conflitto con l’ultimo lavoro targato Beatles. Paul non sentì ragioni e McCartney uscì meno di un mese prima di Let It Be.
Questa fretta nel voler battere il ferro finché era caldo fece pensare ai critici dell’epoca che il disco non fosse un capolavoro dall’inizio alla fine. Al suo interno troviamo, infatti, pezzi di una grandezza incalcolabile, come Every Night e Maybe I’m Amazed, considerato uno dei brani migliori di tutta la carriera solista di McCartney, che non avrebbe sfigurato affatto su Abbey Road, ma anche tracce più difficili da apprezzare come Man We Was Lonely o Kreen-Akrore, probabilmente troppo avanguardista per l’epoca.
McCartney è un lavoro apparentemente poco omogeneo, ma che in realtà cela, nella varietà di stili, la sua forza. Cantato e suonato interamente dal suo autore, polistrumentista, supportato solo in alcune tracce dalla voce della moglie Linda, è un disco che in 35 minuti spazia dal folk (That Would Be Something, The Lovely Linda, Teddy Boy), al pop rock melodico, al rock sperimentale e strumentale, al blues (Oo You).
Alcuni brani, come Junk e Teddy Boy, arrivano dall’esperienza dei Fab Four in India, altri nascono da improvvisazioni nello studio casalingo di McCartney, al numero 7 di Cavendish Avenue, mentre Hot as Sun/Glasses arriva addirittura dal periodo dei Quarrymen.
Per questo motivo possiamo paragonare McCartney ad un collage, un album nel quale momenti diversi collimano con un unico scopo: quello di lanciare sul mercato l’avventura solista di uno dei migliori songwriter di tutti i tempi.
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