A Perfect Circle: recensione di Thirteenth Step

A Perfect Circle

Thirteenth Step

Virgin

16 settembre 2003

genere: alt-rock, groove rock, dub, psych, folk prog, new wave dark, ambient, gothic, heavy prog, industrial

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

Secondo un’antica leggenda vedere zampettare un passero è di buon augurio: il primo passo porta ricchezza, il secondo potere, il terzo fortuna con le donne e via di seguito fino al dodicesimo. Ma se lo si vede compiere il tredicesimo tutto il bene si capovolge trasformandosi in tragedia.

A tre anni di distanza dall’esordio con Mer De Noms, il supergruppo statunitense A Perfect Circle (composto da Josh Freese alla batteria, il chitarrista ex Smashing Pumpkins James Iha al posto di Troy Van Leeuwen, il bassista Jeordie Osborne White al posto di Paz Lenchantin, il producer e chitarrista Billy Howerdel e Maynard James Keenan al microfono) torna sulle scene con l’atteso sequel discografico intitolato Thirteenth Step, edito per Virgin e anticipato dall’uscita del singolo Weak And Powerless.

Un concept album che – nella scelta del titolo e disposto su una tracklist di dodici brani – prova a setacciare da più prospettive, quand’anche sotto metafora, le zone più intricate, buie e fragili della psiche umana: un nucleo tematico, come spiegato dallo stesso Keenan, incentrato sulla corrispondenza tra debolezze umane e dipendenza dalle droghe, e ispirato tanto dal programma dei dodici passi degli Alcolisti Anonimi quanto dal libro I Tredici Passi dello scrittore premio Nobel cinese Mo Yan.

La condizione Weak And Powerless di chi si è abbandonato volutamente, di chi ha continuato a nutrire quei famelici mostri interiori (“time to feed the monster, I don’t need another friend, comfort is a mystery, crawling out of my skin”), di chi, alternando brevi risalite a lunghe ricadute (“I fell again, like a baby unable to stand on my own”), è sprofondato in abissi depressivi e in quel genere di autolesionismo del binomio corpo-anima che Dante condanna nel “tredicesimo” canto dell’Inferno.

Dinamiche patologiche a cui si aggiungono il disagio sociale di dover indossare altre identità, relazioni tossiche e corrosive, contraddizioni etiche e spesso la scelta di rimanere cristallizzati in uno stato vegetativo di ignoranza misto ad apatia pur di sfuggire al dolore della vita, al peso della realtà (“I just didn’t want to know, best to keep things in the shallow end, cause I never quite learned how to swim”).

È allora che certe debolezze emotive trovano sollievo analgesico nella leggerezza eterea di una bolla che lentamente svanisce nella sostanza ottica delle illusioni, come un pensiero che sfiora un sospiro facendosi sempre più sottile e invisibile, fino a scomparire del tutto: “say hello to everything you’ve left behind, it’s even more a part of your life now that you can’t touch it”.

Escogitando nuove linee di raccordo tra l’estro creativo di Billy Howerdel, il dinamismo percussivo di Josh Freese e l’ingombrante carisma lirico di Keenan, gli A Perfect Circle sembrano voler smussare eccessive asperità riff-centriche a favore di una trasversalità compositiva più stratificata e metafisica sul versante atmosferico, abbracciando sonorizzazioni e intelaiature ritmiche di maggior sensibilità effettistica ed elasticità melodica: se da un lato si avverte il desiderio di ricalibrare certe coordinate autoreferenziali del cosiddetto alternative rock americano degli anni 90 verso vibrazioni inedite, dall’altro l’intento è quello di far decadere qualsiasi velleità di raffronto con ciò che i Tool avevano prodotto fino a quel momento (tra cui il progetto parallelo Lateralus), eccezion fatta per alcune sfuriate groove-metalliche di fattura “tooliana” negli episodi di Weak And Powerless e The Outsider.

Dunque, troviamo ricerca di equilibrio nell’armonia degli opposti – tanto cara a Maynard – e convivenza degli eterni e inscindibili contrasti che coinvolgono la natura dell’essere umano: luce e oscurità, quiete e irrequietezza, dolcezza e tensione, percezione della realtà e alterazione di essa. Facce della stessa medaglia che il frontman di Tool e Puscifer, con quel plurisensoriale e magnetico eclettismo timbrico che lo contraddistingue, riesce a plasmare e ad enfatizzare avvicendando registri tonanti e possenti a una soffusa e malinconica delicatezza vocale.

Così, in ordine sparso, prendono forma i dodici passi di Thirteenth Step: si va dall’hard rock melodico di Pet all’heavy rock evocativo e tirato dalle sfumature raga di The Outsider, dalle brumose e pulsanti venature new wave a tinte dark di Blue all’orchestrale sinfonia d’antan della cover dei Failure The Nurse Who Loved Me, dalle morbide tessiture psych-folk acustiche dal taglio “aliceinchainsiano” accompagnate da striature di violino di A Stranger ai beat morbosi e allucinati di The Package (quando sotto effetto di narcotiche nenie dub quando attraverso scosse telluriche di riff noise metal), dai fraseggi chiaroscurali “kingcrimsoniani” mescolati ad ambientazioni “nineinchnailsiane” di The Noose alle enigmatiche ombre strumentali dagli echi arabeggianti di Crimes, finendo per raggiungere sospensioni crepuscolari in Lullaby (amplificate dal canto mesmerico di Jarboe degli Swans) e abbandonarsi all’ignoto di dilatazioni trance-catartiche nell’epilogo di Gravity: “I am surrendering to the gravity and the unknown, catch me, heal me, lift me back up to the sun, I choose to live”.

Orientato, pertanto, su contenuti esistenziali di natura pseudo camusiana (chissà se è solamente frutto di una casualità l’accostamento sequenziale di brani come A Stranger, The Outsider e Crimes), Thirteenth Step può riassumersi nel vero e proprio atto di maturità e consapevolezza da parte degli A Perfect Circle, come una delle espressioni musicali più influenti del nuovo millennio.

Tracklist:

1. The Package 2. Weak and Powerless 3. The Noose 4. Blue 5. Vanishing 6. A Stranger 7. The Outsider 8. Crimes 9. The Nurse Who Loved Me 10. Pet (cover dei Failure) 11. Lullaby 12. Gravity

Membri della band:

Maynard James Keenan – voce
Billy Howerdel – chitarra, voce
Josh Freese – batteria, cori
Jeordie Osborne White – basso, cori James Iha – chitarra

Altri musicisti:

Troy Van Leeuwen – chitarra (tracce 1, 5 e 12), Danny Lohner – chitarra (traccia 3), The Section Quartet – archi (tracce 6 e 9), Jarboe – voce (tracce 3 e 11), Devo H. Keenan – cori (traccia 10), K. Patrick Warren – strumentazione (traccia 9), Jon Brion – strumentazione (traccia 9)

Produzione:

Billy Howerdel – produzione, ingegneria del suono, fotografia aggiuntiva
Maynard James Keenan – produzione esecutiva, direzione artistica
Danny Lohner – produzione aggiuntiva (tracce 3, 6, 9 e 10)

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