Anno Domini, 1976.
Nella nostra penisola si consuma l’ultimo quinquennio degli anni di piombo, a Torino comincia (ma viene rimandato subito) il processo all’ala dura delle Brigate Rosse.
Sulle ali dell’Internazionale entrano gli imputati cantando a squarciagola alzando il pugno chiuso. Nelle strade e nelle piazze la tensione sale
a mille. Una stagione orribile sta pian piano finendo. Lasciando in terra
ragazzi di ogni schieramento e di ogni colore politico. Una carneficina. Ancora troppo insabbiata e velocemente dimenticata.
Tutt’altra aria si respira nel Regno Unito, dove non mancano anche lì le varie problematiche (disoccupazione, terrorismo, ecc.), ma la musica è ben altra cosa che nello Stivale. Il punk bussa alle porte, il prog tiene banco ma prende una forma più intellettuale, l’hard e l’heavy si sovrappongono.
I Black Sabbath, sfiancati da mille concerti e vizi sfrenati, sono quasi allo stremo delle loro forze creative. Si sentiva già nei precedenti lavori una certa stanchezza. Nonostante tutto, riescono, comunque, a sfornare brani di tutto rispetto, conditi dagli immancabili e splendidi riff dell’immarcescibile Tony Iommi.
Passiamo a Technical Ecstasy, un lavoro discografico, a mio avviso, eccessivamente bistrattato. Già dalla copertina si notano tracce di un cambio sia musicale che spirituale.
L’album si apre con Back Street Kids, una cavalcata in stile Maiden degli anni d’oro. Primo brano e prima emozione.
Ozzy è in formissima, il brano è potente: una partenza che fa ben sperare, così come la seconda traccia You Won’t Change.
Ozzy è consapevole che nessuna Lei potrà mai cambiarlo o mutare la
sua follia. Gli assoli di Tony sono magia pura.
La terza traccia It’s Alright mi lascia interdetto: possibile che qualcuno abbia infilato un pezzo dei primi
Beatles all’interno di Technical Ecstasy Ma chi canta? George Harrison o Lennon?
No signori, sorpresona: per
la prima volta in un disco dei Sabbath, troviamo il caro e vecchio Bill Ward che si esercita nelle sue doti canore e ci stupisce con una ballata in stile Beatles. Tutto bello, ma sa di studiato a tavolino.
L’album continua in stile Black Sabbath con la bella Gypsy: donna magica e dai mille
volti del male.
La seguente All Moving Parts, a mio modesto parere, è il brano peggiore
del disco, già dalle prime note degne di Top of The Pops. Cè veramente bisogno di un Dottore del Rock & Roll, come ci delucida la sesta traccia.
Ed ecco il ballatone: uno dei brani che preferisco. Tanti la odiano ma She’s Gone è una gemma di una bellezza rara. Cantata poi da quel maligno di
Ozzy assume una forma mistica e magica.
Ma ci risiamo! In chiusura i quattro di Birmingham ci sbattono in faccia il marcio della vita.
“La città addormentata sta passando la notte sognando, ma in strada guardo il domani diventare oggi”.
Questa frase è per tutti quelli che hanno passato tante, forse troppe, notti nelle strade della vita.
E proprio Dirty Women ci racconta una di quelle notti in cui puoi ritrovarti a far parte di una giungla che prende vita nell’oscurità, per poi scomparire di giorno.
In chiusura: Technical Ecstasy non verrà mai ricordato come il miglior album dei Black Sabbath, ma consiglio vivamente l’ascolto a qualche neofita indeciso.
E per chi già lo conosce, potrebbe essere un piacevole e nostalgico ripasso. Sentirete che tante band hanno rubacchiato un
qualcosa, qua e là, da queste tracce.
Michele Mangosio
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