Duocane: recensione di rAmen

Duocane

rAmen

(Autoproduzione)

1° marzo 2024

genere: garage rock, fuzz garage, stoner, noise, country psych, hardcore punk, post-rock

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

A distanza di due anni dall’esordio ufficiale con il primo full-lenght Teppisti in Azione Nella Notte, e con due EP all’attivo (Puzza di Giovani e Sudditi), i Duocane tornano in scena con il secondo album intitolato rAmen, autoprodotto e anticipato dall’uscita dei singoli Poi Si Pensa e rAmen.

Provenienti da Acquaviva Delle Fonti, in provincia di Bari, i pugliesi Duocane – duo composto da Stefano Capozzo al basso, voce e chitarra e Giovanni Solazzo alla batteria, percussioni e seconda voce – giungono a quella che per molti è considerata la prova del nove, integrando il loro menù stilistico con l’inserimento di “strumenti allergenici” (violino, viola, mandolino, vibrafono, fisarmonica, piano e sax, oltre all’elettronica di tastiere e synth) e la partecipazione di diversi musicisti, tra cui Pino Lemme, Pierpaolo Mingolla, Gianluca Luisi, Mariabruna Andriola, Gianluca Di Fonzo, Alessandro Vitale, Enrico Carella, Marco Fischetti e Andrea Prevignano.

Sebbene l’intento sia quello di dare maggior ampiezza e profondità dadaista alla propria prospettiva autorale, i Duocane continuano a perseguire e perfezionare la loro direzione artistica, senza snaturare il proprio carattere identitario, con la filosofia di non prendersi mai troppo sul serio, e alimentando quel senso di appartenenza a certo underground “freak & cheap” dallo status fluido e apolide, nonché refrattario alla retorica dei falsi buoni sentimenti.

Una sorta di movimento indigeno di resistenza che i Duocane sostengono con spirito goliardico, cercando di sopravvivere al logorio della vita moderna e all’invasione dei nuovi barbari. Così, tra le pagine di rAmen si susseguono racconti di vita vissuta e ricordi di gioventù, legami affettivi che resistono nel tempo, diversità culturali e appropriazioni culturali (Taky Ongoy), storie di caporalato (Acinino) e giochi di società a simboleggiare strategie, relazioni e visione d’insieme (Rosiko!).

C’è spazio anche per la nostalgia di un certo genere d’intrattenimento: il video di rAmen, ad esempio, trae ispirazione dal macrocosmo delle televisioni locali in voga negli anni 90, emittenti private che si nutrivano di televendite e personaggi strambi dalla conduzione improvvisata, a metà tra televisione e circo. Una dimensione catodica in cui il grottesco umano si faceva, seppur in modo involontario, metafora demenziale della politica e della società in divenire. Protagonista del video è il maneki-neko, ovvero quella simpatica statuina portafortuna a forma di gatto con la zampa sollevata che spesso troviamo all’ingresso dei ristoranti cinesi, ma che in realtà avrebbe origini giapponesi.

Mescolando diverse influenze musicali e un cantato rigorosamente in italiano (ad eccezione di Bloodstains, brano cover della punk band californiana Agent Orange), le dieci tracce di rAmen – suddivise in antipasti, primi piatti, secondi piatti e dolci – assumono consistenze soniche eterogenee, quando attraverso una zuppa ricca di ritmiche dai sapori aggressivi e urticanti (dal garage fuzz all’hardcore punk, passando per combinazioni math-prog, allucinazioni psych-stoner, scariche heavy rock e noise acufenico), quando ripiegando, invece, su un weird & roll in salsa giappo-wave (rAmen) e atmosfere più intimiste e karmiche, tra spiritualità liturgica, malinconiche armonie di una fisarmonica western e muscolarità post-rock dai riflessi onirici, enigmatici e marziali.

Sotto l’aspetto tematico, i Duocane si focalizzano su una forma di critica socio-politica dai testi dissacranti e pungenti, con giochi di parole in cui si fondono l’ironico e il serioso, a metà tra Skiantos ed Elio E Le Storie Tese, trasformandosi in filtro emotivo della contemporaneità e dei suoi cambiamenti. Un momento storico in cui ignoranza, individualismo, mediocrità e disempatia galleggiano sempre più in superficie, e dove procrastinare sembra essere l’unica terapia in grado di sedare paranoie (“la paura dei batteri, o di poter fare del male, o di latenza omosessuale), frenesie e dipendenze (“ad ognuno la sua droga, chiesa, coca la Roma o yoga”).

E mentre il tempo fugge via dalle nostre mani, sfrecciando come macchine tra mille semafori, nell’indifferenza di chi ha fretta e si scansa, il nulla culturale viene dato quotidianamente in pasto alla gente comune (“prendi tutto ‘sto niente, dallo in pasto alla gente”), all’opinione di massa, con l’unico scopo di ottenere quei famigerati quindici minuti warholiani di notorietà. Il ché ricorda un po’ quel “pubblico di merda” tanto declamato dal compianto Freak Antoni.

In fondo, a cosa serve tutto questo sbattersi per comprendere le cose della vita se poi, alla fine, ci appelliamo puntualmente alla sfortuna? D’altronde, la vita non è altro che un biscotto della fortuna, di quelli croccanti che devi spezzare se vuoi scoprire il messaggio profetico nascosto nel bigliettino all’interno. E in quello dei Duocane c’è scritto che prima o poi moriremo tutti.

facebook/duocane

Tracklist:

1. Poi Si Pensa 2. rAmen 3. D.O.C. 4. Bloodstains (Agent Orange cover) 5. Rosiko! 6. Taky Ongoy 7. Costantino 8. Giulio, vergognati! 9. Acinino 10. La Luna Giù Per Il Camino

Membri della band:

Stefano Capozzo – basso, voce, chitarra

Giovanni Solazzo – batteria, percussioni, seconda voce

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