Striker
Ultrapower
Record Breaking Records (autoprodotto)
2 febbraio 2024
genere: melodic power metal, hair metal, power-speed metal, power-thrash, punk, arena rock, AOR
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Recensione a cura di Marco Calvarese
Ridendo e scherzando, è proprio il caso di dirlo, gli Striker non hanno mai sbagliato un colpo. Questa è la verità. Il loro è un power melodico frutto di una miscela tutta personale di arie AOR, spirito Helloween e riff NWOBHM.
Gli Striker sono una band tutt’altro che sperimentale (tamarra, direbbe qualcuno), e lo si evince dalla ruffianeria di certe soluzioni melodiche e armoniche, eppure a me piacciono. Sono un nostalgico, e per questo penso che non ci sia un tempo o un’età per spararsi del buon heavy-rock insieme a 4 lattine: te lo devi sentire dentro, tra un panino e un pacchetto di sigarette. È così che ti ritrovi brillo e felice senza neppure sapere come e perché.
Attendevo con trepidazione l’uscita di Ultrapower (settima fatica discografica per il collettivo canadese), per una miriade di ragioni, non ultime l’esordio in studio, alla chitarra solista, dell’ex session-man Fallon e (udite udite) la produzione affidata al sound master dei Lorna Shore (sic…) Josh Schroeder. Insomma, cosa diavolo mi sarei dovuto aspettare? Grandi cose, a giudicare dal primo singolo Circle Of Evil, tosto e immediato: il brano che gli Helloween avrebbero sempre voluto scrivere, arricchito nel refrain con un riff tagliente da leccarsi i baffi.
Di seguito è la volta di Give It All, con inserimento del sax (che gli stessi Striker avevano già sperimentato otto anni fa in Stand in The Fire) all’interno di una melodia zuccherosa e talmente retrò da aprire un varco temporale direttamente sul 1986, il ché mi ha fatto pensare ad un altro album camaleontico.
C’è da dire che, dopo il primo giro sul piatto, non ci ho ancora capito un accidente e ho la stessa sensazione che registro dopo aver buttato giù una Guinness: retrogusto amaro (mi aspettavo qualcosa di più “tosto”?), nessun effetto e ancora tanta “sete”. Continuo con la stessa voglia di prima e, quando parte il terzo singolo, Best Of The Best Of The Best, il mio disorientamento tocca l’apice: puro pop-metal scatenato e cesellato da accordi che grondano vintage.
Quale direzione prenderà quest’opera? Domanda lecita e perfino scontata, ma la risposta, man mano che procedo con l’ascolto, è laconica: nessuna! Ultrapower ha tutta l’aria di una compilation il cui unico filo conduttore è il loro stramaledetto e originale rock and roll, tiratissimo e scanzonato, legato a un sound nostalgico e influenzato da diversi sottogeneri, che gli Striker sanno mescolare con indiscutibile mestiere. Tanto più per l’uso discreto ma evocativo dei synth, che alleggerisce ulteriormente l’atmosfera di quei dannati cori: cori a profusione, cori ovunque, e mai come stavolta.
Un revival vibrante di passione. Schiarite le idee, si riparte a ritmi forsennati, con l’unico obiettivo di scatenarsi e mettere a nudo, sempre e comunque, quell’anima spudoratamente anni ’80, rievocando i tempi in cui le radio pompavano rock pronto all’uso, quando il disincanto generava quella voglia di ballare senza pensieri, tra coretti strappa-mutande e riff ignoranti, immediati e cristallini come diamanti grezzi.
“Presto, barista, un’altra birra!”, perché dopo i tre episodi di cui sopra si va al galoppo con Blood Magic: una folle corsa aperta da una sorta di jingle da film western. Dopo un giro power e un paio di brusche frenate melodiche, il cavallo si imbizzarrisce e si scatena in un vero e proprio tornado di difficile definizione (power-speed-thrash? NWOAHM?), da dare le capocciate contro il soffitto di casa. Così, ti ritrovi a unirti al solito coro che scandisce il brano. Devastante.
Nemmeno il tempo di rifiatare che questi cinque matti ti piazzano un brano come Sucks To Suck: punk sporco e grezzo come nessun altro, impreziosito da un assolo à la Helloween (per non parlare del video in cui si cimentano nel wrestling…). Si capisce che non bisogna prendere troppo sul serio gli Striker, perché si rischia fare figure barbine.
Bando alle ciance, dunque, e sotto con la prossima rullata: Ready For Anything credo sia la canzone meglio suonata e arrangiata del platter, che, pur immergendo il suo power-speed in una vasca di melodia, non rinuncia a groove e velocità. Anzi, in mezzo a una raccolta di episodi dalla chiara dimensione live, è forse quello più da arena-oriented dell’intera proposta.
Almeno questo è quello che credo prima di aver ascoltato City Calling: un inno alla leggerezza, un hair-pop metal da fare invidia ai vecchi Bon Jovi, con tanto di “oh-eh-oh” a riportarci indietro nel tempo, a quando avevamo vent’anni e non vedevamo l’ora di andare sotto il palco insieme alla nostra ganza vestita di pizzi e merletti neri.
Non paghi, gli Striker sfoderano Turn The Lights Out, un power con tanto di bridge in stile Megadeth che mi fa saltare sul divano, prima di mandare agli annali due pezzi arena-rock come Thunderdome (nomen omen) e Live To Fight Another Day, che potrebbero figurare benissimo in un remake rock di Grease.
La chiusura è affidata, invece, al power-glam di Brawl At The Pub, una cavalcata da “free-for-all”, con tanto di provocazioni da rissa in sottofondo. Americanata? Semplicemente “striker-style”, insieme a quella voglia matta di divertirsi e farci divertire con il miglior party metal che possiate trovare in circolazione, a suon di litri di birra fresca e spruzzate di thrash. L’hangover è servito.
Tracklist:
1. Circle Of Evil 2. Best Of The Best Of The Best 3. Give it All 4. Blood Magic 5. Sucks To Suck 6. Ready For Anything 7. City Calling 8. Turn The Lights Out 9. Thunderdome 10. Live To Fight Another Day 11. Brawl At The Pub
Membri della band:
John Simon Fallon: chitarra
Dan Cleary: voce
Jon Webster: batteria
Tim Brown: chitarra
Pete Klassen: basso
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