In Flames: recensione di Foregone

In Flames

Foregone

Nuclear Blast

10 febbraio 2023

genere: death-core, melodic death, metal-core

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Diciamoci la verità: la musica è cambiata profondamente. È cambiato l’approccio, è cambiato il sound, i criteri di produzione sono differenti, i sintetizzatori hanno invaso campi ai miei tempi impensabili; i confini di genere, anche grazie ai social media, si sono fatti più sottili. Gli stessi metal heads non sono più quelli di una volta, settari ma uniti da una tacita fratellanza mondiale: sono nati un’infinità di sottogeneri e i gusti si sono dispersi, frastagliati, mescolati, e la comunità si è contaminata con altre subculture.

L’apertura di nuovi orizzonti ha spinto le vene artistiche più sensibili ad esplorarli; certo, con alterne fortune. Così è stato anche per gli In Flames, che prima hanno scritto le tavole della legge del death melodico scandinavo, poi, anche per via dei radicali cambiamenti in lineup, hanno preso a navigare, più o meno a vista, nell’oceano aperto della musica moderna. In più, alla truppa si è di recente aggiunto un artista poliedrico e versatile come Chris Broderick (tra gli altri, ex Megadeth).

Con tutte queste premesse, occorre mettersi all’ascolto di Foregone, il loro quattordicesimo ed ultimo LP, senza preconcetti, con curiosità e comprensione e soprattutto senza tirare per la giacchetta la vena compositiva della band, senza, cioè, auspicare ulteriori affondi nel metalcore più melenso o, al contrario, improbabili ritorni ai fasti del puro Gothenburg sound.

Apertura mentale o muerte: le alternative, per i nostalgici intransigenti, non mancano di certo.
Io stesso non nutrivo nessuna fiducia in questo nuovo disco: nonostante non abbia disdegnato la qualità del precedente, mi era tuttavia scivolato sulla pelle senza lasciare il segno e ormai avevo mandato gli In Flames nella soffitta delle cianfrusaglie insieme a Bullet for my Valentine e similari.

Invece galeotto fu YouTube, proponendomi uno dei singoli che hanno aperto la strada all’album. Ne sono stato talmente rapito da cambiare la mia prospettiva e, ad un certo punto, sperare in un top album. Mi sono dedicato a questa fatica discografica chiudendo fuori dalla porta ogni altro parere e devo subito dire che ad ogni ascolto l’ho capita un po’ di più, finendo per apprezzarla quasi per intero.

Gli In Flames hanno osato recuperare elementi del passato senza deviare di un centimetro dal percorso artistico, moderno e definitivo, da tempo intrapreso. Operazione di mercato o sincera voglia di ripercorrere certe tappe, questo lo lascio decidere a voi, perché è un giudizio puramente speculativo e, come tale, reca con sé il retaggio di gusti e disposizione d’animo personali. Il mio compito è quello di giudicare il disco e descriverlo, perciò mi limiterò a bocciare tanto chi lo ha bollato come inutile, quanto chi ha gridato al miracoloso comeback: la verità, come sempre, sta nel mezzo.

Foregone è un lavoro molto articolato ma tenuto insieme dal concetto del tempo, variamente declinato ma costantemente venato di oscurità, talora di disperazione, altre volte quasi screziato da un grido d’aiuto, a mio parere splendidamente rappresentato nella cover dall’inquietante mascotte.

Poggiate il vostro supporto preferito sul piatto o nel lettore e la prima cosa che vi salterà alla giugulare è il sound: una combo, il più delle volte riuscita, di melodic-death e death-metalcore, intrisa di influenze nu metal nelle melodie vocali (A Dialogue in B Flat Minor su tutte) e hard & power di varia matrice (nella seconda parte dell’album), senza rinunciare del tutto a flirtare con la radiofonia.

Quanto alla produzione, passate un colpo di spugna sulle patinature di I, the Mask, perché qui si lavora sullo sporco, sulla distorsione graffiante e c’è tanta effettistica, soprattutto (ma non solo) nella voce. Ciò che più mi ha colpito nello stile di Foregone è il lavoro delle due asce, perché tanto i riff quanto, soprattutto, gli assoli sono costantemente in primo piano, di assoluto spessore e solidità, perfettamente incastonati nel corpo di ciascuna pièce, valorizzandola.

Il contributo di Broderick e la sua ispirazione hanno reso, a mio avviso, un servigio clamoroso alle icone svedesi, creando un connubio sorprendente di sonorità antiche, a tratti folk (come nell’intro acustico The Beginning of All Things that Will End), e modernissime (con robuste iniezioni elettroniche).

Capolavoro, dunque? Ne siamo ben lontani, ma sicuramente un ottimo album che manderà in deliquio i fan della seconda ondata e che merita una chance anche da parte degli “inflamers” della prima ora. Di potenziale bomba del 2023 avrei parlato se l’intera track list avesse avuto l’energia di singoli come State of Slow Decay o The Great Deceiver, tuttavia, nel complesso, ciò che emerge dalle casse è corposo, cupo e abrasivo; ogni traccia ha qualcosa da dire e la fluidità d’ascolto ne giova alquanto.

Una nuova maturità sembra raggiunta con questo mix svedese-americano, ma occorre fare molta attenzione, perché inforcare le cuffie è come salire sulle montagne russe: il salto dall’elettricità di Foregone Part I al nostalgico Foregone Part II, dalla struttura hard rock di Cynosure all’oscuro mid tempo di In the Dark, sino alla draconiana closer End the Transmission, in effetti, può disorientare.

Eppure, il suono di quest’album conserva un che di organico lungo l’intero snodarsi dei brani, attraversando senza cedimenti ogni sfumatura e influenza, perfino nel mood Scorpions-like della struggente Pure Light of Mind, per confluire ed esplodere in Meet Your Maker, a mio parere il pezzo di gran lunga più figo della raccolta, con un breakdown clamoroso e dal groove irresistibile e immediato.

Per tutto il resto, è bene concedersi più ascolti per cogliere il filo conduttore di Foregone, ma ne varrà la pena. I ragazzacci svedesi hanno imbracciato i loro strumenti, sono saltati sulla macchina del tempo e da ogni epoca della loro storia ormai trentennale hanno prelevato un ingrediente, amalgamando il tutto talora con l’abilità di un barman acrobata (come in Bleeding Out), talora in modo un po’ artigianale, ma nel complesso la release è interamente godibile e rappresenta un valido cavallo di ritorno per una band che tutti noi vecchi brontoloni dovremmo avere il coraggio di rivalutare.

Tracklist:

1. The Beginning of All Things That Will End
2. State of Slow Decay
3. Meet Your Maker
4. Bleeding Out
5. Foregone, Pt. 1
6. Foregone, Pt. 2
7. Pure Light of Mind
8. The Great Deceiver
9. In the Dark
10. A Dialogue in B Flat Minor
11. Cynosure
12. End the Transmission

Membri della band:

Anders Fridén – voce
Björn Gelotte – chitarra
Chris Broderick – chitarra
Bryce Paul – basso
Tanner Wayne – batteria

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