Recensione a cura di Chiara Profili
8 Novembre 1971.
I Led Zeppelin pubblicano il loro quarto album in studio intitolato Led Zeppelin IV, scritto e realizzato, per volere di Jimmy Page e Robert Plant, nella villa rurale di Headley Grange, nel cuore dell’Inghilterra, inizialmente progettata per accogliere persone affette da malattie mentali e poi adibita a orfanotrofio.
Nessuno avrebbe mai immaginato che, molti anni dopo, i Led Zeppelin l’avrebbero scelta come sala d’incisione, proprio per la sua particolarissima acustica.
Dopo i primi tre album, che avevano riscosso grande successo fra il pubblico e la critica, i Led Zeppelin sentivano il peso di dover affrontare una nuova sfida al fine di creare l’album perfetto. In un certo senso, ci riuscirono.
La prima traccia dell’album è Black Dog:
John Paul Jones era arrivato in sala d’incisione con un’idea di canzone, nata dopo aver ascoltato Electric Mud di Muddy Waters. Voleva un blues elettrico con un basso dominante. Ne verrà fuori un hard rock blues pesante che diverrà un classico della storia della musica rock.
Nonostante il titolo, ed eccezion fatta per qualche immagine, il cane non ha nulla a che fare con il testo della canzone, che invece raccontava essenzialmente il desiderio per una donna. Robert Plant si ritirò nel bagno di quella suggestiva location per scrivere il testo di Black Dog, o almeno per trovare l’ispirazione.
Dalla finestra del bagno, Robert Plant vide questo Labrador nero che gironzolava intorno agli studi di Headley Grange, e pensò che Black Dog fosse un ottimo titolo. Nonostante le innocenti intenzioni di Plant, il testo di Black Dog fu accusato addirittura di satanismo, partendo da quel verso che dice “Eyes that shine burning red”.
Plant si riferiva al cane, mentre chi ascoltò il brano pensò che parlasse del demonio. Anche il titolo fu considerato un’allusione satanica, essendo Dog il rovesciamento della parola God, e così molti di convinsero che Black Dog fosse un inno al dio nero degli Inferi.
Il disco prosegue con uno delle tracce più famose e coinvolgenti della band inglese, Rock And Roll; un vero omaggio alla storia del rock, con citazioni da Muddy Waters a Little Richard. Un pezzo travolgente, che non poteva avere titolo più azzeccato se non quello del genere che rappresenta.
La chicca di questo album, però, è sicuramente la celeberrima (forse pure troppo) Stairway to Heaven, brano dalla lunghissima intro melodica che esplode solo dopo sei minuti, quando dallo storico assolo di Jimmy Page, cavallo di battaglia in ogni live degli Zeppelin, si passa al prorompente cantato di Robert Plant, che termina dolcemente la scalata verso il Paradiso. Solo per i tre sopracitati brani, il disco meriterebbe il prezzo d’acquisto, e forse è così.
Abbiamo detto che in un certo senso riuscirono a fare il disco perfetto. In un certo senso sì, perché Led Zeppelin IV è tutt’ora uno dei dischi di maggior successo non solo degli Zeppelin, ma di tutta la storia del rock (complice, forse, proprio la presenza di Stairway to Heaven).
Tuttavia, non lo identifico come il miglior lavoro della hard rock band britannica, perché ritengo che Led Zeppelin II e III siano opere più complete, dove anche i brani minori hanno sempre quel qualcosa in più che ti impedisce di saltare anche solo una traccia durante l’ascolto. Chacun à son goût.
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