Metallica: recensione di Ride The Lightning

Recensione a cura di Andrea Musumeci

27 luglio 1984. I Metallica pubblicano il loro secondo album Ride The Lightning per la casa discografica Megaforce.

Una sedia elettrica e un cielo pieno di fulmini: per chi suoneranno le campane a morte?

Non c’è più la rabbia punk di Kill ‘Em All: a distanza di un anno, quel songwriting così impulsivo e primordiale dell’esordio era stato affinato ed arricchito da un sound più tecnico, freddo e meno sanguigno, ma più maturo e bilanciato. Svolta che segnerà, da quel momento in poi, il percorso definitivo di crescita della band californiana.

Anche la voce di Hetfield è diversa: meno sguaiata ed aspra rispetto all’anno precedente, risultava più imponente e più consone a quelli che erano i canoni del genere heavy metal.

1984 è il titolo del famoso libro profetico scritto da George Orwell (pubblicato nel 1948, da cui è stato tratto il concetto di grande fratello, all’indomani della seconda guerra mondiale), il quale, già a quel tempo, immaginava come potesse essere il futuro ed il progresso-regresso dell’umanità sotto il regime di manipolazione fisica e psicologica da parte di un governo totalitario.
Ironicamente, l’ossimoro stava nel fatto che l’ente incaricato alle torture psicologiche e alla conversione delle menti ribelli era il ministero dell’amore.

Il 1984 è un anno di grandi uscite discografiche rock, hard rock e metal:
Purple Rain di Prince viene eletto disco dell’anno; Bruce Springsteen pubblica Born In The U.S.A., disco di protesta contro la presidenza di Ronald Reagan, che metteva in risalto la realtà delle vittime e dei reduci di guerra dimenticati dal proprio Paese; i Judas Priest pubblicano l’album Defenders of the Faith, gli Iron Maiden il grande album Powerslave; i Van Halen pubblicano 1984, l’album della consacrazione commerciale, soprattutto grazie al singolo di successo mondiale Jump, che però sancì la fine della collaborazione tra Eddie Van Halen e David Lee Roth; gli U2 pubblicano The Unforgettable Fire, i Bon Jovi realizzano il debut album omonimo, mentre gli Echo and the Bunnymen pubblicano il loro quarto disco Ocean Rain, new wave dall’atmosfera barocca e decadente.

I Metallica, invece, soltanto a distanza di un anno, erano passati dal messaggio militaresco, furioso ed esplicito di Kill ‘Em All, alla visione più meditata, esistenzialista, cupa e oscura di Ride the Lightning, così come in tutto l’ambiente metal, in cui trovarono terreno fertile temi come il tormento dell’animo umano, la perdita di identità e il nichilismo, dovuti all’incomprensione del mondo e alle pressioni di una società ostile.

La traccia di apertura, Fight Fire With Fire, è un pezzo veramente devastante, musicalmente uno dei più pesanti mai composti dai Metallica: contro la follia della guerra, in uno scenario apocalittico che fa presagire la distruzione dell’umanità.

Annienta il mondo, la guerra nucleare ci seppellirà… Combatti il fuoco con il fuoco, la fine è vicina.

Questo brano inizia con un arpeggio di chitarra acustica, quasi medievaleggiante, e termina con il rumore sordo di un’esplosione, probabilmente quello di una bomba nucleare.

Nel 1983 ci fu davvero il rischio di una apocalisse atomica: il mondo si trovò, per una settimana, sull’orlo di una guerra nucleare. Eravamo in piena Guerra Fredda e la vecchia Unione Sovietica scambiò un’esercitazione militare della NATO per un tentativo d’attacco, tanto da preparare le loro testate nucleari. Questo era il clima di tensione e nervosismo tra Stati Uniti e Unione Sovietica all’inizio degli anni ’80.

Ride The Lightning viene ricordato in particolar modo per la power ballad Fade to Black, dal testo cupo, in cui viene trattato il tema del suicidio, che sembra essere l’unica soluzione per colmare la perdita di qualcosa di essenziale.

Pare che, invece, James Hetfield si riferisse al furto del suo primo amplificatore avvenuto a Boston, proprio nel 1984. Una riflessione, a mio avviso, decisamente esagerata, visto che il testo in sé lascia davvero poco spazio all’immaginazione.

Ho perso la voglia di vivere, semplicemente non ho più niente da dare, non c’è più niente per me, ho bisogno della fine per liberarmi.

Chiederei ad Hetfield: tutto questo sentimento autodistruttivo per un amplificatore?

Questa canzone mi ha sempre fatto riflettere sull’importanza del messaggio di una canzone; sul fatto che spesso viene attribuito un significato troppo importante ad un determinato tipo di musica, in merito a contenuti di non facile comprensione, creando inevitabilmente confusione, soprattutto tra gli adolescenti e le persone tormentate che seguono questo genere di musica.

In Ride the Lightning troviamo ancora il nome di Dave Mustaine tra i crediti della titletrack e dell’affascinante pezzo strumentale conclusivo di nove minuti The Call of Ktulu.

Creeping Death, Escape, Trapped Under Ice e For Whom the Bell Tolls vanno a completare questo disco fondamentale per lo sviluppo del genere thrash metal, che toccherà il picco massimo della sua curva evolutiva solamente due anni più tardi, nel 1986 (denominato “l’anno d’oro del thrash metal”), soprattutto per merito di opere d’arte come Master of Puppets dei Metallica, Reign in Blood degli Slayer e Peace Sells… But Who’s Buying? dei Megadeth.

Ride The Lightning rappresentò l’impostazione sonora quasi definitiva che i Metallica volevano, e che manterranno negli anni, Black Album compreso. Una volta, parlando proprio del Black Album, un amico mi interruppe dicendo: “Scusami, ma io non ascolto musica pop!”.

Ride The Lightning è un disco imprescindibile e senza tempo per gli amanti del genere. È arrivato di nuovo il momento di cavalcare il fulmine.

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