Onceweresixty: recensione di The Flood

Onceweresixty

The Flood

Beautiful Losers, Uglydog Records

17 settembre 2021

genere: alternative, lo-fi, psych, brit rock, nightclubbing, shoegaze

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

È uscito The Flood, album d’esordio degli Onceweresixty, edito il 17 settembre per le etichette venete Beautiful Losers e Uglydog Records ed anticipato dall’uscita del videoclip della titletrack.

Riparte da Vicenza, e dalle ceneri dei Mr60, il “magical mistery tour” del collettivo psych lo-fi vicentino fondato da Marco Lorenzoni e Luca Sella (ai quali si è aggiunto Enrico Grando al synth), a bordo di un nostalgico hippie bus dalle tinte vivide e policromate alla Merry Pranksters.

The Flood è il primo step discografico di questo nuovo viaggio senza una meta prestabilita, all’insegna delle magiche atmosfere californiane degli anni ’60, vero e proprio simbolo di una cultura anticonformista e controcorrente che, oggi, nel flusso apparentemente liquido e dinamico della contemporaneità, sembra aver smarrito tutta l’energia di un tempo.

Così, in maniera del tutto trasversale ai canoni mainstream dell’attualità, gli Onceweresixty ci introducono all’interno di un trip caleidoscopico composto da nove tracce dal crescente impatto acustico ed emotivo, in cui effusioni elettro-glam anni ’70, beat garage lo-fi anni ’60, assonanze beatlesiane di sponda Lennon, dissonanze raga sinusoidali e algide sfumature motorik si mescolano a connotazioni naïf che sanno di alienazione urbana, tra sonorità nightclubbing catchy, percussioni tribali, chitarre annacquate, riverberi jingle jangle shoegaze, psichedelia dal carattere fragoroso, feedback lancinanti ed atmosfere oniriche, ovattate, visionarie, sbilenche e dal fascino rurale che si dilatano fluidamente, quand’anche inconsciamente, fino a delineare e definire quella che è la spina dorsale compositiva di questo primo capitolo da parte degli Onceweresixty.

Quello che si viene a creare è un magico flusso folk che sembra galleggiare nel vuoto, quasi fosse sospeso in una porzione spazio-temporale dai riflessi amniotici, nostalgici, malinconici, freddi e scarni, dove intense e stratificate profumazioni lisergiche si elevano in una dimensione ultraterrena, di stordimento e di fuga dal deserto culturale della realtà, del presente, facendo da cordone ombelicale tra melodie anestetizzanti, depressive e ossessive, vocalità slacker dalla gradazione morbida, morfinosa e microfiltrata, e distorsioni tremolanti e sfocate.

Accostando l’orecchio, proprio come si fa con le conchiglie, a certi suoni ipno-evasivi del passato dal retrogusto anglofono e a quel connubio oramai rodato tra elettronica e rock, gli Onceweresixty accarezzano il lato solfureo, austero ed argenteo dei Velvet Underground di White Light White Heat, rievocando l’intimismo decadente di realtà quali Spacemen 3, i primissimi R.E.M., Low e Jesus And Mary Chain.

https://www.facebook.com/onceweresixty/

Tracklist:

1. All I Want

2. Take Me Home

3. Summer

4. Sixsixsixty

5. Deliver Boy

6. Rocksong

7. The Flood

8. Sunday

9. Antipopsong

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