Queen: recensione di A Night At The Opera

Recensione a cura di Chiara Profili

21 Novembre 1975. I Queen pubblicano il loro quarto album in studio, A Night At The Opera.

Prendendo spunto da questo album, proveremo oggi ad analizzare il ‘fenomeno Queen’ nel suo complesso e a capirne le dinamiche. Nello specifico, a fare luce sul perché questo sia il disco preferito da molti dei fan della band inglese.

Al di là dei gusti personali, è indubbio che siamo davanti a quattro artisti di spessore, che hanno contribuito a rivoluzionare la musica dei loro anni, essendo spesso avanguardisti e visionari.

La sezione ritmica dei Queen è semplicemente incredibile: Roger Taylor è non solo un grande batterista, ma è stato anche un ottimo autore e su John Deacon, abbigliamento a parte, si possono solo avere parole buone.

Ma cos’ha questo album di così speciale? Se dovessi dar retta ai miei gusti vi direi che i migliori album dei Queen sono i primi tre e che in seguito hanno prodotto altro buon materiale, vedi Jazz, di cui abbiamo parlato pochi giorni fa, ma che hanno anche avuto momenti meno sfavillanti, lustrini sui costumi di scena di Mercury a parte.

Dunque, partiamo subito in quarta: Bohemian Rhapsody, il clou di questo disco, è un pezzo geniale che, come altri della sua caratura, è ormai schiacciato dal peso della sua fama, così tanto da essere diventato quasi inascoltabile. Stessa sorte di altri cavalli di battaglia del genere rock, quali Stairway to Heaven dei Led Zeppelin o Smoke on the Water dei Deep Purple. Resta comunque un grandissimo brano e in teoria vale da solo il prezzo del disco.

In effetti, ed è qui che volevo arrivare, credo che molti osannino quest’album proprio perché “è quello di Bohemian Rhapsody”. Ingiusto definirlo così, perché ci sono altri bei pezzi in A Night At The Opera, ma nel complesso credo che ci siano lavori dei Queen più meritevoli di questo, che magari non contengono una hit stratosferica come la suddetta rapsodia boema, ma che risultano più gradevoli ad un ascolto dalla prima all’ultima traccia.

Fra le varie ballad strappalacrime di Mercury e soci, Love of My Life è sicuramente una delle migliori, caratterizzata dal classici controcanti in stile Queen e da un soave pianoforte dal sapore barocco, accompagnato dall’arpa suonata da Brian May. Una moderna versione di Bach, mi verrebbe da dire.
Impossibile non ricordare la bellissima esibizione live che fecero gli Extreme al Freddie Mercury tribute a Wembley. L’armonizzazione delle voci di Gary Cherone e Nuno Bettencourt è da pelle d’oca, emozionante quanto l’originale.

L’altro singolo estratto da questo disco è You’re My Best Friend, un pezzo molto pop e moderno, difficile da collocare mentalmente a metà anni ‘70. Un pezzo davvero molto ‘Queen’, ammesso che ciò voglia dire qualcosa. Perché i Queen sono sempre stati un gruppo dallo stile inconfondibile, eppure hanno spaziato moltissimo e questo genera in me un po’ di confusione.

Chi sono davvero i Queen? Un gruppo rock? Un genere a parte? Una band che ha fatto rock solo a sprazzi e la cui anima non era poi così sporca e maledetta come quella dei loro colleghi contemporanei?

Personalmente non ho mai visto in Brian May un rocker nudo e crudo, tantomeno in Freddie Mercury, figura carismatica, non c’è dubbio, ma che forse fino all’ultimo ha sempre faticato a capire chi fosse, diventando, con gli anni, più divo che rocker. Preferisco ricordarlo agli inizi della sua carriera, quando il suo estro era ancora ben mescolato a quello degli altri componenti della band.

L’altro pezzo che vorrei menzionare è quello scritto e cantato da Roger Taylor, I’m In Love With My Car. Lo cito non solo perché è la traccia che preferisco, ma perché mi serve da spunto per un altro ragionamento. Questo brano è stato pubblicato come b-side del singolo di Bohemian Rhapsody dopo forti pressioni da parte del batterista dei Queen. Brian May non aveva preso il pezzo sul serio e Freddie Mercury si rifiutava categoricamente di inserirlo come lato B del suo 45 giri capolavoro.

La mia personale conclusione è che i Queen fossero una band disomogenea, l’anima rock era quella di Roger Taylor, gli altri componenti erano davvero molto diversi tra di loro e per carità, ci mancherebbe altro. Ognuno di noi è diverso, ma faccio l’esempio dei Beatles. Personalità totalmente opposte, che però erano in grado di unirsi o di comporre ognuno per i fatti suoi, con risultati quasi sempre eccelsi e condivisi.

Allo stesso tempo fu forse proprio questa, però, la fortuna dei Queen. L’essere così variegati ha dato loro la capacità di fare breccia in un pubblico vastissimo e altrettanto variegato, li ha resi più pop, nell’accezione letterale e non dispregiativa del termine, facendo loro vendere circa 300 milioni di dischi in tutto il mondo e riempiendo gli stadi.

In conclusione, A Night At The Opera è certamente un buon album, ma consiglio di scavare a fondo nella discografia dei Queen perché c’è davvero molto di più.

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