Red Hot Chili Peppers: Blood Sugar Sex Magik

Recensione a cura di Chiara Profili

24 settembre 1991.
Esce Blood Sugar Sex Magik, quinto album in studio dei Red Hot Chili Peppers, prodotto da Rick Rubin.

Data fortunata, il 24 Settembre del ‘91. Quel giorno, infatti, non usciva solo Blood Sugar Sex Magik, ma anche Nevermind dei Nirvana.

Due generi che più diversi non si può, ma entrambi estremamente emblematici di quel periodo. Ed entrambi, dischi di enorme successo.

I Red Hot erano reduci dal discreto successo di Mother’s Milk, che li aveva fatti conoscere ad un pubblico più vasto, ma sarà con questo album, dall’eccentrica copertina, che verranno proiettati a tutta velocità sul Boulevard delle stelle di Hollywood.

Lo stile musicale è più melodico, rispetto al disco precedente, ma allo stesso tempo più rock e meno hip hop.

Per registrare Blood Sugar Sex Magik, Rick Rubin aveva convinto la band, fatta eccezione per Chad Smith, a trasferirsi per circa un mese nella sinistra villa alle porte di L.A. chiamata The Mansion, dove aveva vissuto anche il famoso illusionista Houdini.

La formazione dei Red Hot, in quel periodo, vedeva la presenza di John Frusciante, alla sua seconda esperienza discografica con la band.

E alla sua prima esperienza col mondo dell’eroina, dal quale invece Kiedis stava tentando a fatica di uscire.

Tuttavia, l’isolamento fece bene ai Red Hot Chili Peppers, e la registrazione filò liscia. Frusciante era perfettamente a suo agio in quel microcosmo e risentí molto del cambiamento che il suo stile di vita ebbe non appena iniziarono i concerti. Tant’è che lasciò la band proprio a metà del tour, l’anno successivo.

In questo disco, Kiedis mette tutto se stesso, i suoi rapporti con le ragazze ed il sesso, con le droghe, con la solitudine ed il senso d’inadeguatezza verso una società nella quale faticava a trovare il suo posto.

Dedica anche un brano al compianto Hillel Slovak, My Lovely Man e un altro alla sua breve relazione con la cantante irlandese Sinéad O’Connor.

Ma è Under The Bridge che rapisce il cuore del pubblico.

Anthony Kiedis, in questo brano, parla della sua disperazione, che si era trasformata in depressione. Ripensa ai giorni dell’eroina, alla sua relazione ormai fallita con l’attrice inglese Ione Skye, una storia d’amore travolgente, ma intossicata dalla dipendenza di lui.

Su queste sensazioni, Kiedis scrive una poesia e la intitola Under the Bridge, perché fa riferimento a quel ponte di Los Angeles sotto il quale si davano appuntamento le gang che era costretto a frequentare per avere la droga.

Scrive di getto il ritornello, “Sotto il ponte in città è dove mi succhiavo il sangue, è dove non mi bastava mai, è dove dimenticavo il mio amore, è dove buttavo via la mia vita”.

Mentre scrive, avverte un senso di solitudine quasi insopportabile.
Pensa che non ci sia nessuno accanto a lui, nessuno a parte Los Angeles.
Scrive: “A volte mi sento come se non avessi una compagna, come se la mia sola amica fosse la città dove vivo, la Città degli Angeli, sola come me, piangiamo insieme”.
Kiedis finisce la poesia e la mette in un cassetto.

Sarà il produttore Rick Rubin a trovarla per caso, mentre scartabella tra gli appunti e le carte del cantante. Ne rimane affascinato e chiede a Kiedis di farla leggere agli altri membri dei Peppers, sebbene Anthony non sia entusiasta, perché riteneva quel testo troppo personale, non adatto ad una canzone e soprattutto non adatto alla band.
Rubin, ovviamente, insiste e Kiedis alla fine accetta.

Non appena finito di leggerla, Flea e Frusciante si precipitano agli strumenti. Frusciante compone di getto uno degli intro più belli della sua carriera e Under the Bridge diventa un successo clamoroso.

Tutti vorranno sapere dove si trovi quel ponte, ma Kiedis non lo rivelerà mai.

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