Sacrifice
Volume Six
High Roller Records
24 gennaio 2025
genere: thrash metal, hardcore
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Recensione a cura di Marco Calvarese
Se dovessi dare un titolo a questa mia disamina, sarebbe “non tutti i comeback riescono col buco. Ovvero: quando le aspettative sono troppo alte”.
Lo scorso anno, dopo i clamorosi ritorni in studio di grandi nomi, avevo probabilmente abituato il palato a sapori troppo forti, ed ecco che, dopo aver dedicato al ritorno dei canadesi Sacrifice una full immersion da guinness dei primati, mi resta in bocca e nelle orecchie davvero poco.
Per carità, la pietanza è buona, gli ingredienti di qualità, la confezione degna di uno chef, ma manca il condimento: le porzioni risultano troppo striminzite per darmi piacere e rimango con una fottuta fame di thrash e un fastidioso retrogusto amaro.
Premessa: stiamo parlando dei Sacrifice, ossia di una sorta di band di culto per il thrash metal canadese, artefice di buoni successi discografici negli anni d’oro e di un unica incisione successiva, ormai più di quindici anni fa. Chiaro che, fin dall’annuncio, questo Volume Six fosse circondato già da un discreto hype tra gli appassionati del genere, amplificato anche dalla riproposizione della medesima line-up degli esordi, ma qualcosa non mi quadrava.
Perché, ad esempio, uscire prima su CD e solo dopo settimane sui social media? Ho aspettato pazientemente di trovare l’album completo sul “tubo” per capirci qualcosa di più. Forte di un discreto artwork, così acceso da richiamare l’attenzione, la prima cosa che mi ha colpito, appena inforcate le mie fedeli cuffie, è stata la produzione: un sound secco e asciutto, ipercompresso, che finisce per relegare il basso ad anticamera. Poi una voce tecnicamente ineccepibile, dall’inconfondibile semi-scream perfettamente mixato con il sound della band, ma con linee vocali discutibili che, a mio parere, non conferiscono alcun valore aggiunto, salvo in rare occasioni (vi rimando ai due episodi d’apertura).
Infatti, guarda caso, Volume Six porta in dote ben due momenti interamente strumentali, ed entrambi risultano tra i più riusciti dell’opera, quasi a liberarsi di una zavorra e trovare nuova linfa: provate ad ascoltare l’ispirata e angosciante Lunar Eclipse e, soprattutto, la cavalcata vagamente psichedelica (in nome omen) Black Hashish, ma anche alcuni lunghi interludi come quelli di Your Hunger For War e dell’eccelsa Missile (sui quali tornerò più avanti).
E dire che i primi otto minuti sono da urlo: Comatose e Antidote Of Poison risultano cattive, immediate, senza respiro e lascerebbero presagire un album da far girare nel lettore di qualunque thrasher per un mese di fila! Non c’è nulla di nuovo, d’accordo, ma tutto è al posto giusto e suona come si deve, a partire dalla voce di Rob Urbinati.
Però c’è già la sensazione che, anche in brani così riusciti e trascinanti, ci siano un’overdose di emulazione (rispettivamente dagli ultimi prodotti di Exodus e Atrophy) e tanto mestiere (rallentamenti e accelerazioni studiati ad arte e “chiamate” per caricare il pubblico) e che quando, invece, si cercano strade meno battute lo si faccia arzigogolando la sezione ritmica a discapito dell’immediatezza (elemento cardine del thrash), come nella parte centrale del platter.
L’ottimo Gus Pynn, autore di una prova da applausi dietro le pelli, appare slegato dal songwriting dei colleghi, come se i suoi fill più originali improntassero il singolo episodio senza intercettare la stessa vena da parte degli altri artisti (emblematica, in tal senso, Underneath Millennia).
Anche gli assoli non hanno il potere di far decollare i pezzi meno incisivi e appaiono esili e talora noiseggianti: un brano appiattito sul solito quattro quarti, come Explode, ad esempio, ne avrebbe avuto un gran bisogno. Al contrario, Incoming Mass Extinction, che ne è pressoché priva, nella sua semplicità e nel suo costrutto retró è una delle composizioni più frontali e immediate della release, così come la già citata Your Hunger For War, con quel mix accattivante tra lo slow del main riff e le accelerazioni sorrette dal tremolo riffing: di gran lunga i due episodi più riusciti, dopo i brani d’apertura.
Poi ci sono storture di carattere strategico che fatico a capire: ad esempio proporre come singolo una traccia “old style” quasi ordinaria come Missile, che per struttura suona (almeno alle mie orecchie) come un esercizio di bilancio, poco più di un filler. Oppure scegliere come closing track We Will Not Survive, che, a parte un tiro sostenuto e una robusta marca hardcore, non ha granché da dire musicalmente. Senza considerare la cover dei connazionali Direct Action, bonus track che non aggiunge nulla alla qualità complessiva del disco.
Il risultato finale è un ritorno onesto ma inferiore alle aspettative, con troppi alti e bassi, che si ascolta piacevolmente e a tratti stimola l’headbanging, ma non lascia memoria a lungo termine, non sedimenta nel profondo e talora induce allo scroll dei brani dopo il primo ascolto. Lo avessi acquistato, sarebbe finito in fondo allo scaffale dedicato alla mia collezione thrash, e questo, per il rispetto che nutro per la storia dei Sacrifice, non deve mai accadere.
Tracklist:
1. Comatose 2. Antidote Of Poison 3. Missile 4. Underneath Millennia 5. Your Hunger For War 6. Incoming Mass Extinction 7. Lunar Eclipse 8. Explode 9. Black Hashish 10. We Will Not Survive 11. Trapped in A World (Direct Action cover, feat. Brian Tailor)
Lineup:
Scott Watts – basso
Rob Urbinati – chitarra e voce
Joe Rico – chitarra
Gus Pynn – batteria
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