Suicidal Angels
Profane Prayer
Nuclear Blast
1 marzo 2024
genere: thrash metal
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Recensione a cura di Marco Calvarese
I Suicidal Angels sono una di quelle band per cui nutro da sempre profondo rispetto, ma che non sono mai entrate nelle mie grazie. Sarà perché trovavo i primi album un po’ appiattiti su certi canoni “vintage”, o per il gusto che avevano per un certo tipo di sonorità acute, aspre, oppure per la semplicità ingenua dei ritornelli, non so.
Sicuramente, riconosco loro un percorso di crescita che, ad esempio, fece del loro precedente Years Of Aggression un prodotto valido, più vario e corposo, ma ho sempre creduto che, potendo o dovendo scegliere, avrei preferito concedermi un’ora di buon thrash tedesco, piuttosto che scendere fino in Grecia. Nessuna chiusura, questo mai, ma linee di credito un po’ titubanti, tutto qua.
Ecco che, invece, quest’anno, arriva Profan Prayer, il loro ottavo e ultimo full-length: lo metto in lista – mi dico – e appena posso gli dò un ascolto. Bè, ritengo che per la combo greca sia arrivato finalmente il momento della consacrazione. Si tratta di un lavoro dinamico, fresco, adrenalinico e ricco di sostanza, dal quale percepisco una verve compositiva ispirata che conferisce diversità e originalità ad ogni brano.
E se Where The Lions Die, primo capitolo di questa epopea ellenica, pensato come hit e prodotto come singolo, suona tanto Kreator con scale e armonie maideniane, i brani che seguono, la tiratissima Crypts Of Madness (di matrice Exodus ma originale al tempo stesso) e l’arrembante Purified By Fire, virano più verso altre sponde teutoniche (Destruction), senza mancare (nel bene e nel male) di rimandi ai primi Suicidal Angels e rallentamenti di matrice slayeriana, ma più acidi.
Quando, poi, Deathstalker si apre con quell’arpeggio, capisco che i Suicidal Angels sanno cosa vogliono e non si preoccupano di seguire dei cliché: otto minuti di puro godimento che sgorga da arrangiamenti sopraffini, con ampi richiami a sonorità britanniche (ditemi se non ci sentite i buoni, vecchi Manowar), mentre inizia ad aleggiare un aroma Metal Church nella fase armonica. Tutto questo, a mio gusto, rappresenta un valore aggiunto che sentirete esplodere nella titletrack, un pezzo fantastico, griffato da riff spacca tutto.
Un riffing, appunto, sempre coinvolgente e originale, disseminato lungo tutta l’opera, dove i ritmi sostenuti dei tom (marchio di fabbrica ricorrente dei SA) ed assoli splendidamente arrangiati, con spiccato gusto per la velocità sulla tastiera della chitarra, consentono ai nostri di tenere sempre desta l’attenzione ed apporre il proprio sigillo personale su episodi mai banali.
Prendete, ad esempio, The Return Of The Reaper, forse il brano più divertente, condotto da un main riff azzeccatissimo: un mid-tempo trascinante e un refrain vagamente thrash & roll che i Suicidal Angels, con maestria e senza strafare, riescono a condensare in quattro minuti di canzone, trasformando un probabile filler in perla che non vedi l’ora di riascoltare. Anche le successive Guard Of The Insane e Virtues Of Destruction, per quanto strutturate secondo i paradigmi del canonico thrash “old style”, scorrono piacevolmente grazie alle buone trovate nei bridge e alla qualità dei dialoghi tra le asce, con relativo effetto tritacarne per l’ascoltatore. Zucchero per orecchie foderate di thrash metal come le mie.
Si giunge così, scivolando tra i solchi senza pentimenti, alla traccia di chiusura, The Fire Paths Of Fate, che ci aspetta a braccia aperte per lasciare finalmente il segno, riservandoci uno dei passaggi più epici ascoltati quest’anno, e non solo. C’è il suono di strumenti non convenzionali (lo confesso: ho chiesto consiglio a chi ne sa più di me e quello che fa capolino un paio di volte è un santur turco) ad accompagnare una melodia vocale femminile, drammatica come un’antica litania funebre, che sembra dettare tempi e accordi alle chitarre. E poi, ancora, un sapore orientaleggiante a impregnare fortemente l’intera suite, oltre a un groove pazzesco che si sviluppa nella parte strumentale posta al centro dell’opera: un mix di emozioni che vi lascerà senza fiato, la pistola fumante della definitiva maturazione dei Suicidal Angels.
A mio modesto parere, proprio attraverso Profane Prayer, la band ateniese, capitanata dal carismatico frontman Nick Melissourgos, esce dalle secche dell’underground per stagliarsi tra gli astri del thrash europeo, con una identità definita e una creatività che non è seconda a nessuno. Assolutamente imperdibile per tutti gli amanti del genere. Hail to Greece!
Tracklist:
1. When The Lions Die 2. Crypts Of Madness 3. Purified By Fire 4. Deathstalker 5. Profane Prayer 6. The Return Of The Reaper 7. Guard Of The Insane 8. Virtues Of Destruction 9. The Fire Paths Of Fate
Line-up:
Nick Melissourgos – voce, chitarra ritmica Gus Drax – lead guitar
Angelos Lelikakis – basso
Orfeas Tzortzopoulos – batteria
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