The Strokes: recensione di Comedown Machine – 26 marzo 2013

The Strokes

Comedown Machine

RCA Records

26 marzo 2013

genere: pop rock, synth rock, disco rock, brit pop, shoegaze

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Il 26 marzo 2013, per RCA Records, vide la luce il quinto album in studio dei The Strokes, intitolato Comedown Machine.

Musicalmente, l’album è la prova provata che nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma, specialmente la musica. Quest’ultima, infatti, è sempre figlia (a tutti i livelli) di una serie di processi da ricercare nel passato, di evoluzioni e di cambiamenti più o meno spontanei che l’hanno modificata nel corso degli anni.

In Comedown Machine, appunto, troviamo atmosfere e musicalità che orbitano, addirittura, intorno a tre decadi di rock (e non solo), ovvero gli anni ’70, ’80 e ’90. Dei primi citati, sentiamo una forte presenza negli episodi più rock and roll, ad esempio All The Time, Welcome To Japan (pezzo che presenta anche una notevole matrice funky e disco-pop) e, soprattutto, 50/50, brano piuttosto punk e “sporco” che riporta alla mente la musica dei Clash.

Degli anni 80, incontriamo tantissime melodie e atmosfere, come in Tap Out, che ci fa immergere subito dentro un mood funk e ballabile, e One Way Trigger, che ricorda la musicalità degli A-Ha. Dei 90s è, invece, piuttosto evidente una certa influenza melodica, soprattutto in un brano come Slow Animals che, specialmente nel ritornello, mette “in tavola” venature di shoegaze e britpop; in ogni caso, l’intero lavoro dei The Strokes si muove sulla falsa riga dell’indie rock, risultando molto ispirato dallo stile di “fine millennio”.

Al di là di ogni considerazione specifica, Comedown Machine si rivela un disco molto dinamico, che fa del movimento, del groove e della accurata ricerca musicale le proprie bandiere. Il capitolo migliore dell’album è Chances, estremamente vellutato ed emozionale, che tra suoni leggeri ed eterei e voci in falsetto, riesce a trasmettere un’atmosfera decisamente “cloudy” al tutto.

L’aspetto vocale del lavoro presenta, infatti, un certo dualismo, il quale spesso sfocia in un botta e risposta (un po’ bipolare) tra una canzone e la seguente, passando dal canto più accurato e morbido fino a quello più ruvido e punk; come comune denominatore notiamo che questo, raramente, abbandona l’impronta melodica e orecchiabile all’interno delle stesure.

Il lato lirico è anch’esso interessante e rispecchia lo stato mentale della band durante la lavorazione di questo disco, l’ultimo che li vedeva obbligati per contratto a pubblicare con RCA. I testi risultano cupi, mettendo in mostra una certa decadenza e mancanza di valori, la quale si manifesta nella sua interezza più pura soprattutto nel parlare di relazioni vuote e prive di sentimenti.

Dopotutto, Comedown Machine si rivela essere anche un album molto sofferto e sofferente durante l’ascolto, sensazione ai tempi alimentata dai rumors che davano per certo uno scioglimento imminente della band. Gli stessi artisti, con episodi quali Tap Out, la colorata Happy Ending e la conclusiva Call It Fate, Call It Karma avevano decisamente alimentato le voci.

Oggi, invece, i The Strokes continuano a lavorare e a sfornare progetti, ma l’ascolto di un’opera del livello di Comedown Machine risulta ancora molto piacevole e ricco di spunti.

Alberto Maccagno

TRACKLIST:

1. Tap Out

2. All The Time

3. One Way Trigger

4. Welcome To Japan

5. 80s Comedown Machine

6. 50/50

7. Slow Animals

8. Partners In Crime

9. Chances

10. Happy Ending

11. Call It Fate, Call It Karma

FORMAZIONE:

Julian Casablancas – voce

Albert Hammond Jr. – chitarra, tastiere

Nick Valensi – chitarra, tastiere, mellotron (su 80s Comedown Machine)

Nikolai Fraiture – basso, contrabbasso (su Call It Fate, Call It Karma)

Fabrizio Moretti – batteria, percussioni

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