21 dicembre 1983.
Il chitarrista più virtuoso del mondo, Eddie Van Halen, scopre un nuovo strumento, il sintetizzatore Oberheim Ob-X. Si chiude nello studio 51050, che si è costruito in casa, e lo usa per registrare un nuovo pezzo, Jump.
“L’assolo migliore che ho scritto in vita mia”, dirà Eddie, con un non so che di provocatorio.
Al posto della chitarra Frankenstrat, c’è la maestosità del synth, che aprì, negli anni Ottanta, infiniti scenari e orizzonti nel genere metal, in ogni sua forma e contaminazione.
Il singolo Jump serviva a promuovere il disco 1984, ma questo discorso era valido per la stragrande maggioranza dei video dell’epoca, il cui scopo era fare pubblicità agli album di cui facevano parte. Non ci dimentichiamo che quel decennio fu caratterizzato dal forte sviluppo delle arti grafiche, dall’ascesa commerciale dei video musicali e da un nuovo boom economico, dopo la crisi energetica dei Settanta.
Negli anni ’80, erano due gli interessi principali delle case discografiche: far arrivare le band a più persone possibile (da qui la base del concetto pop), anche da un punto di vista visivo, e convicerle ad ascoltare una canzone che altrimenti sarebbe stata ignorata. Una strategia abbastanza semplice e diretta.
Il videoclip di Jump fece sì che la gente amasse i Van Halen, metteva in risalto la personalità del gruppo e permetteva che quella melodia così orecchiabile si inchiodasse nel cervello. E che alla fine arrivasse quel messaggio. Sì, ma quale messaggio?
Assolutamente nessun messaggio: l’unica cosa che dovevi fare all’infinito era semplicemente saltare.
Nessun pensiero profondo, nessun messaggio subliminale o cose simili. Jump fece vendere tantissimi dischi ai Van Halen, fu una perfetta mossa di marketing (ah, gli anni ’80), anzi, era marketing puro, perfetto per l’evoluzione pop della musica hard rock.
Sono stati i video come Jump a fare la storia del video-marketing metal, oppure, se volete, possiamo anche chiamarli concerti dal vivo senza pubblico.
I Van Halen, con l’album 1984, dimostrarono che anche band hard rock o metal potevano usare i sintetizzatori, una volta ogni tanto. Jump è tutto lì: sintetizzatore, batteria, un pò di voce e un assolo di chitarra indispensabile per non indurre al suicidio la parte tosta del pubblico.
Ma immagino che non sia stato facile prendere quella decisione. L’uso delle tastiere e dei sintetizzatori fu una disputa accesa negli anni ’80: per molti era uno strumento noioso, in particolar modo quando si parlava di musica metal, produceva un suono forte, ma per niente heavy.
Ovviamente, uno come Ozzy Osbourne non sarebbe affatto d’accordo, visto che la sua nuova vita artistica, all’inizio degli anni Ottanta, ripartì proprio dal tappeto musicale di un organo come incipit di uno dei suoi cavalli di battaglia, Mr. Crowley.
Strumenti come tastiere e sintetizzatori erano considerati al di fuori dell’etica metal, una forma di integralismo musicale legata al rispetto del passato e dei maestri della vecchia scuola. Una bella contraddizione, se pensiamo alla musica dei Deep Purple e all’importanza dell’organo Hammond di Jon Lord.
Eppure, nonostante tutto, il paradosso di un genere musicale come il glam degli anni ’80 fu che i sintetizzatori, almeno metaforicamente, erano perfetti: il glam si basava su una realtà artefatta e i sintetizzatori non erano uno strumento vero e proprio, ma potevano riprodurre il suono di qualsiasi tipo di strumento.
Le tastiere e i sintetizzatori sarebbero dovute essere lo strumento più importante dell’era glam (non ci dimentichiamo che anche un gruppo heavy metal come gli Iron Maiden introdusse l’uso dei sintetizzatori nell’album Somewhere in Time), ma il problema era che venivano viste come una minaccia per la tradizione dell’hard rock. A metà degli anni ’80, i primi contestatori furono soprattutto i fruitori del sottogenere thrash metal californiano. Cosicché si crearono due fazioni contro: thrashers vs glamsters.
David Lee Roth, in quel momento storico, non era d’accordo con l’utilizzo delle tastiere, perché Dave non pensava da musicista che vuole vendere dischi alla massa: lui pensava da rocker. Secondo la sua mentalità, il connubio metal e tastiere era un qualcosa che depravato e inaccettabile.
È probabile che David fosse semplicemente impaurito di fronte a quel cambiamento che, in poco tempo, avrebbe reso la musica dei Van Halen accessibile a tutti, anche a chi non era mai stato un loro fan fino ad allora. Insomma, una sorta di sputtanamento.
Insomma, c’era una bella differenza tra la proposta musicale dei Van Halen e quella dei Pixies. Ma ciò non significa che un tipo musica sia migliore dell’altra.
Detto questo, sappiamo anche che un personaggio come David Lee Roth non è mai stato un esempio integerrimo di coerenza. Nel senso che, dopo la sua dipartita dai Van Halen, non è che abbia cercato chissà quali vie sperimentali e sonorità alternative nella sua carriera solista.
Sono passate tre decadi abbondanti, eppure Jump è, ancora oggi, uno dei brani più popolari di tutti i tempi del macro-universo rock, soprattutto tra coloro che erano adolescenti negli anni ’80 e che, inevitabilmente, sono cresciuti in quel contesto storico di cultura di massa.
Oggi facciamo fatica a trovare una giustificazione reale al perché qualcuno, in quegli anni, odiasse così tanto le tastiere. Verosimilmente, c’era chi era solamente prevenuto nei confronti del loro utilizzo, oltre al fatto che per alcuni non erano assolutamente rock.
Sta di fatto che nel febbraio del 1984, Jump raggiungeva la posizione n°1 delle classifiche in America, per restarci almeno cinque settimane.
E come dice sempre un nostro caro e saggio amico: “I soldi fann’ turnà a vista ai cecat!”.
Col tempo, tastiere e sintetizzatori sono diventati una componente atmosferica quasi imprescindibile per ogni genere musicale e per tutti quei musicisti che hanno sfruttato quel sincretismo artistico come un valore aggiunto e creativo.
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