Sex Pistols: Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols

Never Mind The Bollocks: Here’s The Sex Pistols! è stato, ovviamente, un disco rivoluzionario. Ma non rivoluzionario come Ché Guevara, diciamo più come un importante uomo d’affari londinese che balla in mutande.

Facciamo un po’ di contesto storico: siamo negli anni ’70, l’Inghilterra è inebriata e innamorata delle bellezze artistiche di musicisti come Pink Floyd, Emerson Lake And Palmer, Rick Wakeman, King Crimson, Van Der Graaf Generator e chi più ne ha più ne metta.

Ma qualcosa nel sottosuolo si sta muovendo. In Kings Road, Londra, si trova un negozio chiamato SEX, da considerarsi come un baluardo dell’anti-moda punk, specializzato nella vendita di magliette strappate, pantaloni in pelle, borchie ed accessori fetish. Il negozio è gestito da Malcolm McLaren e dalla moglie Vivienne Westwood. Lui è un acuto e furbo uomo d’affari, così come lei, e Johnny Rotten, cantante della band, li definirà come “due furbacchioni pronti a tutto pur di vendere qualcosa”.

Il disco dei Sex Pistols uscirà per Virgin Records il 28 ottobre del 1977, con il gruppo sopravvissuto incredibilmente (e paradossalmente rinforzato) a: risse ai concerti, sassi lanciati sul palco, tentativi di linciaggio, gli insulti a Bill Grundy in diretta televisiva da parte di Steve Jones (Thoday, Thames TV, 1 dicembre 1976) che costarono alla band il contratto con la EMI, la cacciata di Glen Matlock e l’introduzione nel gruppo di Sid Vicious.

Non solo: il singolo God Save The Queen, registrato, più o meno di proposito, una settimana prima del Giubileo D’Argento, non veniva nemmeno trasmesso dalle radio pur trovandosi secondo in classifica dietro a Rod Stewart.

Ascoltare l’album nel 2020 fa un effetto particolare. Già dall’apertura di Holidays In The Sun si ha l’impressione di ascoltare qualcosa di incredibilmente attuale; le chitarre del disco sono forti ed adrenaliniche, gli accordi sono secchi e tesi, il ritmo è sostenuto, dando vita a un rock molto godibile.

Le chitarre del disco furono registrate da Chris Spedding, celebre turnista e solista inglese, mentre Steve Jones incise il basso, vista l’impossibilità di Sid Vicious nel farlo. Nonostante questa scelta avanzata da Chris Thomas, produttore di hit pop e direttore artistico del gruppo, Jones verrà indicato da Bill Price, ingegnere del suono dell’opera, come il miglior chitarrista da lui mai sentito.

L’interpretazione vocale di Johnny Rotten, pseudonimo di John Lydon, è devastante, forte, ricca, teatrale. Più che cantare, si potrebbe affermare che Lydon stia canzonando l’ascoltatore, il buon senso e le regole e vedendolo cantare le canzoni nei concerti se ne ha la conferma. Lo sguardo, gli occhi sbarrati, le movenze, rendono Johnny Rotten uno dei più grandi frontman della storia del rock, tra i primi cinque di sempre, probabilmente.

Le 12 tracce dell’album non fanno mai calare di tensione l’opera che, anzi, trova i suoi picchi in brani come God Save The Queen, Pretty Vacant, Anarchy In The UK, Holidays In The Sun e Bodies, che identificano a pieno l’anima del progetto.

Inoltre, Never Mind The Bollocks, ha messo, se non un punto, una grande virgola su tutta l’ondata intellettuale del rock progressivo, riportando un suono ruvido e un’arroganza musicale sfacciata che influenzeranno, negli anni a venire, band come i Nirvana, i Guns N’ Roses e persino gli Oasis.

Alberto Maccagno

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