Articolo a cura di Andrea Musumeci
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Karl R. Popper, uno dei maggiori filosofi del Novecento, affermava che “ogni conoscenza è umana ed è coinvolta nei nostri errori, pregiudizi, sogni e speranze”.
Probabilmente, questo concetto filosofico sta alla base delle nostre aspettative e dello spirito critico moderno: assolutista, irrazionale, arrogante e quasi mai esplicativo.
Questo breve preambolo introduce uno dei trend topic del momento, ossia Fear Inoculum, il nuovo disco dei Tool, pubblicato il 30 agosto scorso: l’album più atteso dell’ultimo decennio.
Fear Inoculum ha già raggiunto la vetta delle classifiche statunitensi, spodestando Lover di Taylor Swift.
Finalmente, dopo diverso tempo, un successo su larga scala per il genere rock/metal che, di questi tempi, fa gridare quasi al miracolo.
Fear Inoculum, nel frattempo, sbanca anche in Italia, occupando la seconda posizione, dietro a (nientepopodimeno che) Rocco Hunt. Nel dubbio, è sempre meglio stare dietro a uno che si chiama Rocco.
Dal 30 agosto ad oggi abbiamo letto decine e decine di recensioni relative al nuovo album dei Tool, sia sulle riviste digitali che sulle riviste fisiche.
Insomma, ne abbiamo lette di ogni su quello che stava diventando un vero e proprio oggetto del desiderio e che si andava ad aggiungere ai tanti misteri della storia dell’umanità, tipo la ricerca del Santo Graal, la Sacra Sindone, le pietre di Stonehenge, la morte di Jimi Hendrix ed il successo del nu metal.
Per chi ha avuto, ovviamente, la pazienza e l’ardire di dedicare tempo prezioso alla lettura dei milioni di commenti e scontri social che ne sono scaturiti, avrà potuto notare un canovaccio assai scontato, ovvero la netta divisione che si è venuta a creare all’interno dello stesso fanclub, una vera e propria spaccatura all’interno del tempio degli dei: fan dei Tool contro fan dei Tool.
Si sa, i social network sono diventati veri e propri campi minati.
Questo accade quando cadiamo nel tranello di fare confronti e paragoni tra passato e presente di una band iconica come i Tool: ci facciamo condizionare, nel bene o nel male, da ciò che hanno rappresentato e dal giudizio altrui.
Quindi, abbiamo potuto vedere due schieramenti: da una parte quelli che hanno accolto Fear Inoculum come un capolavoro di rare fattezze, come il Messia nella pochezza musicale che ci circonda, e dall’altra, invece, quelli che lo hanno battezzato come ripetitivo, noioso ed autocelebrativo, nonostante il successo popolare del nuovo disco dei Tool.
È possibile che la musica dei Tool sia sopravvalutata proprio a causa della mediocrità discografica che ci circonda? E che, quindi, vengano considerati al pari di una goccia d’acqua nel deserto?
Contestualmente, non poteva mancare la fascia di utenti pseudo intellettuali, affetti da manie di protagonismo; quelli che denigrano per fare i fighi alternativi su internet.
Non ho mai capito quelle persone che, pur di apparire fighe e non convenzionali, direbbero qualsiasi cosa, meglio se in pubblico, pur di racimolare un briciola di notorietà.
Tutto questo discorso significa, forse, che un prodotto artistico come quello dei Tool non può essere soggetto a critiche? Oppure che debba piacere per forza? Chiaramente non è così.
Qualsiasi forma d’arte può essere criticata e discussa, nei limiti del gusto personale, purché sia fatto con dignitoso equilibrio e con argomentazioni esaustive. Che giustifichino quantomeno la differenza tra l’Uomo 3.0 e quello di Cro-Magnon.
Altrimenti, che senso ha?
Sta di fatto che, dopo 13 e lunghi anni di estenuante attesa dal precedente album 10.000 Days (di astinenza tool-sessuale), l’umore di gran parte dei fan di vecchia data è, invece, (inevitabilmente?) sfociata in violenza verbale e in rancore.
Più di un decennio caratterizzato da una strategia di marketing (da parte dei Tool e del loro entourage) fatta di proclami e rinvii, in un clima di segretezza in stile Area 51; un tira e molla che, probabilmente, è stato vissuto come un tradimento e con frustrazione da coloro che hanno seguito la band statunitense sin dagli esordi, in maniera quasi religiosa, morbosa e maniacale.
L’idolatria cieca, purtroppo, porta anche a questo.
Come diceva Umberto Eco: “La saggezza non sta nel distruggere i propri idoli, sta nel non crearne mai”.
Ma il limite di fondo, come anticipato prima, rimane quello dei fan integralisti: un gregge dissociato di individui accecati dall’adulazione, refrattari ad ogni forma di giudizio razionale e a considerare i propri idoli come dei comuni mortali.
Con ogni probabilità, Maynard e soci conoscono bene certi meccanismi emotivi, le insidie che si celano dietro le dinamiche social, la natura primitiva dell’essere umano (We know your nature…) e le aspettative dei fan di lungo corso, in particolar modo quando manchi da casa da ben 13 anni e dopo aver regalato l’illusione dell’immortalità attraverso gemme preziose come Aenima, Lateralus e 10.000 Days.
Il dato oggettivo è il seguente: purtroppo siamo tutti infettati dal virus del conformismo e soggiogati dai sistemi di comunicazione di massa; tutti vittime dell’inoculazione di un qualcosa che sembra ormai appartenere ad un processo irreversibile.
Che sia questa la Paura di cui parlano i Tool nella nuova release?
Invicible or Fallible? È davvero questo il problema? Che differenza c’è alla fine?
Cosa o chi possiamo stimare come realmente invincibile al giorno d’oggi?
Probabilmente, la nostra primordiale e innata imperfezione, i nostri errori, la nostra reiterata ignoranza ed il trascorrere inesorabile ed impietoso del tempo.
Cosa che, nello stesso momento, ci rende esseri viventi fallibili.
Quante cose possono cambiare in 13 anni? Com’eravamo e dov’eravamo tredici anni fa? Cosa dovevamo o potevamo aspettarci di più da questo nuovo lavoro discografico dei Tool?
Ma del resto si sa, le lotte contro il tempo, e contro l’irrazionale oscenità del voler avere ragione, sono sfide già perse in partenza, per chiunque.
Eccezion fatta per coloro che, invece, hanno capito che il tempo è un imparziale compagno di viaggio, che nulla dura per sempre e che la diversità non è un nemico, bensì un’opportunità di crescita.
Come dice Adam nella serie tv Dark: “Non esiste alcun Dio. L’unico Dio è il Tempo, invincibile e senza pietà, dove principio e fine si rincorrono in un loop infinito”.
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