Secondo molti, internet ha ucciso il rock; tant’è che alcuni scrittori e blogger hanno approfondito l’argomento, scrivendo libri e articoli di estremo interesse.
Prima dell’avvento di internet, le cose funzionavano così: se volevi metter su un gruppo, ad esempio una rock band, eri costretto ad affittare una sala prove, mentre i più fortunati avevano un garage a disposizione. Dunque, mettere in piedi un gruppo rock voleva dire, e lo è tuttora, prendersi del tempo per confrontarsi.
Quanto risulta anacronistico un brano come Rockin’ In The Free World di Neil Young nella cultura di massa attuale? Sicuramente per tre ragioni: primo perché il termine rock ormai è diventato demodé, secondo perché non viviamo assolutamente in un mondo libero e terzo perché gli assoli di chitarra non te li fa quasi più nessuno. E pensare che uno come Neil Young, negli anni Settanta, era avanti di almeno vent’anni.
Oggi, invece, ciò che veramente fa la differenza è la tecnologia digitale moderna di cui possiamo disporre: il mondo libero della musica è accessibile a tutti, o almeno a chiunque sappia usare un laptop e qualche semplice programmino di informatica per comporre le proprie basi. Direttamente dalla propria cameretta, non serve nient’altro e nessuno, il tuo mondo è tutto lì, in pochissimi metri quadrati.
Una vera e propria produzione indie, dove il motto prioritario è: battere il ferro finché è caldo. Oppure, vedendola da una prospettiva più poetica, potremmo citare l’iconica frase Carpe Diem, dalla famosa pellicola L’Attimo Fuggente.
Eppure, non è la prima volta che viviamo un periodo storico e culturale di questo genere: ci siamo già passati. È sufficiente contestualizzare gli eventi per capire che la storia si ripete, ovviamente con modalità differenti, ma pur mantenendo la medesima sceneggiatura.
Facciamo un flashback: a metà degli anni ’80 eravamo nel pieno del successo commerciale delle arti grafiche e la società era proiettata verso un modello di comunicazione sempre più accessibile, rapido e di forte impatto visivo. La seconda metà degli anni ’70 fu segnata dal razionamento del petrolio, dalla sperimentazione elettronica e dall’avvento del punk con i suoi slogan “No Future”. Invece, seconda metà degli anni ’80, la società si era lasciata alle spalle quel periodo grigio ed era pronta a ripartire da una nuova epoca del consumismo, quello che gli afroamericani chiamavano living large.
Video Killed the Radio Star: ve la ricordate? Ovviamente, può averne vivida memoria solamente chi era già adolescente all’inizio degli anni Ottanta.
Dunque, i tempi erano cambiati, l’unico obiettivo era quello di ottenere l’approvazione delle radio e soprattutto di MTV, concentrando gli sforzi artistici sulla produzione dei videoclip. Anche il pubblico degli anni ’80 stava cambiando, per via dell’enorme fiorire di nuovi generi e sottogeneri, di nuove mode musicali, dapprima di visibilità solamente underground.
Negli anni ’80, il suono aveva superato la potenza del messaggio dei testi. L’heavy metal, negli anni ’80, a differenza di ciò che avvenne per il punk britannico, iniziò a diventare popolare, e a diffondersi, grazie proprio a quel nuovo contesto multimediale, facilmente raggiungibile da tutti. L’heavy metal ti arrivava anche senza dover ascoltare un intero album, uscendo così dalla sua dimensione inizialmente underground.
Quello fu anche il periodo d’oro dei magazine, delle riviste di settore, che diventarono numerose: erano dappertutto e facilmente reperibili. Questa nuova esplosione di giornalismo rock, questo nuovo tipo di comunicazione, in quel momento, era l’unica fonte di notizie per noi adolescenti, e per tutti quelli che avevano interesse e voglia di conoscere ed approfondire tutto ciò che era inerente al genere rock e metal.
Dunque, siamo passati da una società e da una cultura di massa ancora impostata su un concetto di collettivo, di insieme, di gavetta, dove tutto era circoscritto e settoriale, ad un’altra, quella attuale, globalizzata, in cui tutto è alla portata di tutti, basta saper smanettare un po’ con i moderni mezzi tecnologici. Drum machine, computer e autotune ed il gioco è fatto; avete presente il fenomeno musicale pop del momento, la diciottenne Billie Eilish? Ma già prima di lei abbiamo potuto assistere al successo di Lorde, Selena Gomez e Miley Cyrus, giovani promesse che, probabilmente, finiranno presto in un programma tv dedicato alle meteore del music business.
Lo so, sembra un racconto dell’era mesozoica, eppure esisteva una comunità che spendeva tempo e spazio per ascoltare dischi e per reperire ogni genere e formato di musica. Tempo e spazio erano concetti fondamentali prima dell’era internet. Con internet, il rapporto spazio fratto tempo è stato completamente azzerato, annullato. Ma pensate che valga solo per la musica? Ovviamente non è così.
Man mano, la nostra cultura popolare è stata modificata, avvelenata e indirizzata verso modelli sempre più individualisti, privatizzati, a discapito dell’etica. Ci hanno illuso di avere il mondo alla nostra portata da un semplice smartphone. Siamo come quelle oche a cui sparano il cibo in bocca tramite un tubo per ottenere il fois grais il più rapidamente possibile.
Pian piano, ci siamo trasformati nella società del tutto e subito, dove la forma è sostanza, dove ogni cosa è diventata gourmet e take away, in cui tutto è precario ed instabile: superficialità allo stato puro. Oggi, un’immagine ad effetto, che viaggia sui principali canali social, conta più di mille parole. Non è un caso che un social network come Instagram, che basa il suo concept interattivo sulla pubblicazione di foto, abbia riscosso popolarità a livello mondiale.
Oppure pensiamo ai rapporti interpersonali. Quanto vale ancora l’arte del corteggiamento? Vale ancora la pena spendere il nostro tempo per flirtare con qualcuno? Non sarebbe meglio se la tecnologia robotica ci aiutasse anche in questo. Ebbene, l’essere umano ha raggiunto anche a questo step, non è fantascienza: la tecnologia è già arrivata ad invadere anche il campo delle relazioni amorose, proponendosi come surrogato per qualsiasi prestazione sessuale.
Tutto deve essere semplicemente ed obbligatoriamente istantaneo. La nostra società multimediale ed iperconnessa sembra correre sempre più veloce, talmente veloce da perdere l’attrito con la realtà, con la quotidianità.
Ogni genere musicale si contestualizza da solo, è conforme al momento storico in cui si manifesta, così come tutte le mode. Ma la musica è un’arte che necessita di studio, di tempo, di applicazione, di approfondimento, di discussione, di confronto, di condivisione. Non si può sperare di coglierne il significato rinnegando del tutto il legame con la tradizione e declassandola ad un prodotto usa e getta, ad una gomma da masticare, ad un mero algoritmo, ad una banana appiccicata ad una parete o ad una brutale statistica basata sul clickbaiting.
© 2020, Fotografie ROCK. All rights reserved.