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Articolo a cura di Lorenzo Marsili
8 marzo 1948. Nasce Mel Galley, uno dei più sottovalutati chitarristi che il rock abbia mai avuto.
Chitarrista, fondatore, e cantante a fasi alterne dei Trapeze, anche ricordato per aver militato per un breve periodo negli Whitesnake e nel progetto dei Phenomena. Sebbene non goda della fama di un Jimmy Page o di un Hendrix, Galley è stato capace di lasciare la sua impronta inconfondibile in almeno una decina di brani che, a cinquant’anni di distanza, sopravvivono egregiamente al test del tempo.
Ad oggi, alcuni critici si chiedono ancora come mai un disco come Medusa, uscito nel 1970, non sia stato considerato influente all’epoca, nonostante la buona visibilità che i Trapeze ebbero, per un periodo limitato, all’interno scena hard-rock. Mel Galley era un musicista inglese molto apprezzato e rispettato, tuttavia ancora oggi il suo nome ed il suo contributo rimangono assai poco conosciuti. Il suo nome è infatti offuscato da quello di Glenn Hughes, bassista e cantante della prima formazione dei Trapeze, che durò solo 3 anni, dal 1969 al 1972. Il nome dei Trapeze, a sua volta, è offuscato da quello della band che offrì il posto da cantante proprio a Hughes: i Deep Purple. Al tempo, i giovani Hughes e Galley erano poco più che ventenni ed i Trapeze stavano infiammando i palchi inglesi con una miscela assolutamente inedita di funk, soul ed hard rock reminescente dei Free e dei Black Sabbath.
Nel 1973, mentre i Deep Purple erano all’apice della loro carriera, Hughes inizialmente rifiutò l’offerta di entrare nella band, sostenendo che “i Deep Purple suonassero un rock troppo scontato”. Dopo un esordio incerto come quintetto, i Trapeze diventarono un power trio formato da Galley, Hughes e Dave Holland (poi Judas Priest). Nel 1970, i nuovi Trapeze fecero uscire Medusa, uno dei dischi hard rock più sottovalutati del periodo, in grado di contenere tutto quello che ci si può aspettare da un disco “classico” del periodo: riff catchy ed incisivi, soli veloci ma mai autoindulgenti, mid-tempo blues come Black Cloud o Your Love Is Alright e ballate memorabili ed uniche come Jury o Medusa, pronte ad esplodere negli spettacoli dal vivo. Se, da una parte, la performance vocale consacrò Hughes come uno dei migliori cantanti in circolazione, è la chitarra di Galley la vera ossatura del disco, tant’è che fu proprio Galley, assieme al fratello Tom, a firmare la maggior parte delle composizioni.
Nel disco successivo, la band diede maggiore spazio alle influenze soul di Hughes. Nella tracklist, tuttavia, brilla ancora una volta un brano firmato dai fratelli Galley, la title-track: You Are The Music (We’re Just The Band). Il brano è un vero e proprio inno dimenticato al rock’n roll, che meriterebbe un posto a fianco ad una Smoke On The Water, una All Right Now o una Rock’n Roll, sebbene sia culturalmente lontano anni luce rispetto alla rappresentazione del rock’n roll di quegli anni cui siamo abituati oggi.
Nella loro piccola nicchia, i Trapeze non celebrano lo stardom, né lo stile di vita fatto di eccessi e sregolatezza. Nelle parole dei fratelli Galley, chi dev’essere celebrato non è il musicista, ma il pubblico che partecipa, il concerto in sé come rito. Ironicamente, tuttavia, fu proprio la possibilità di suonare in una band più grossa – e la remota opportunità di suonare a fianco ad un musicista del calibro di Paul Rodgers – a portare via Hughes dai Trapeze.
In seguito, Hughes nei Deep Purple non si ritrovò a suonare con Rodgers, come sperava, bensì con David Coverdale, che di lì a breve diventò il carismatico (ed autoritario) leader dei Whitesnake. Nel 1974, dopo una breve pausa, Mel Galley si assunse un ruolo che nessun altro si sarebbe sognato di fare: sostituire Hughes alla voce. L’opera riuscì particolarmente dal vivo, come documentato nell’oscuro Live at The Boat Club 1975, pubblicato nel 2006.
Nello stesso periodo, i Trapeze aprirono i Rolling Stones e persino gli Eagles davanti ad una platea di 120 mila persone. In studio, i nuovi Trapeze con Galley alla voce, pur non riuscendo a toccare le vette precedenti, produssero ancora due album di buona fattura, in cui spicca la particolare miscela di rock-funk ed il chitarrismo “chirurgico” di Galley. Dopo un’altra pausa, ed una breve comparsata nell’esordio da solista di Hughes, la band ritornò un ultima volta nel 1979, con Pete Goalby (poi Uriah Heep) alla voce per un disco in studio, Hold On, ed un disco dal vivo (Live In Texas: Dead Armadillos).
Conclusa l’avventura coi Trapeze, la storia di Galley si legò ad uno dei più famosi rock anthem degli anni 80: si tratta di Here I Go Again, il brano con cui i Whitesnake stavano registrando in quel periodo. I Whitesnake in quel periodo non se la stavano passando bene, tant’è che tre membri del gruppo su cinque vennero licenziati improvvisamente prima della fine delle registrazioni. Fu proprio Galley ad essere chiamato per sostituire Mardsen, l’autore della canzone.
Il primo compito di Galley fu proprio quello di registrare le sue parti vocali nei cori del ritornello, tant’è che Galley finì per essere accreditato in un disco in cui non avevano nemmeno suonato. L’ironia della sorte volle che tra quelli a perdere il posto nei Whitesnake ci fosse proprio Ian Paice, il batterista dei Deep Purple, la stessa band che, dieci anni prima, aveva dato una brusca battuta d’arresto all’ascesa dei Trapeze.
Il successivo disco dei Whitesnake, Slide It In, fu il primo grande successo americano della band e vendette quattro milioni di copie. Galley co-scrisse la metà dei brani del disco, in particolare Give Me More Time e la ballata Love Ain’t No Stranger che entrarono nella Top 30 americana, mentre il caratteristico timbro chitarristico si può sentire nel riff di Slide It In. Sfortunatamente, la militanza nei Whitesnake fu breve. In seguito ad una rottura del braccio, Galley subì un danno ai nervi durante l’operazione e non fu più capace di recuperare completamente l’uso della mano. Per riuscire a suonare, ricorse all’uso di un tutore che chiamò “The Claw” (L’artiglio).
Licenziato da Coverdale per aver dichiarato in un’intervista di essere interessato a riformare i Trapeze, Galley aiutò il fratello Tom ed il futuro direttore di Metalhammer Wilfried Rimensberger a fondare il progetto AOR Phaenomena, che nel corso degli anni ha visto la partecipazione di personaggi come Hughes, Brian May, John Wetton, Cozy Powell, Don Airey e molti altri.
Nel progetto, Galley ebbe un ruolo di primaria importanza in qualità di cantante, chitarrista e compositore. Nel 1991, la formazione storica dei Trapeze si riunì assieme al tastierista Geoff Downes (Asia, Yes, The Buggles), per poi imbarcarsi in alcuni tour e nella registrazione di alcune demo ed un altro disco dal vivo. La breve reunion ha portato finalmente alla luce alcuni live del periodo d’oro della band, che sono comparse dopo quasi quarant’anni nelle ristampe del catalogo originale.
Il 7 febbraio 2008, Galley dichiarò di essere in una fase terminale di cancro all’esofago. Morì il primo luglio dello stesso anno, dopo una vita al centro dei riflettori e lontano al tempo stesso, all’ombra della fama di personaggi più capaci di catalizzare l’attenzione della stampa. Nella sua ultima intervista, ha dichiarato: “Sono stato molto fortunato. Ho visto delle grandi band, ed ho suonato con molti grandi musicisti”.
Su volontà della sua famiglia, la sua iconica Les Paul nera è stata regalata a Glenn Hughes. La stessa chitarra è stata affidata alle mani esperte di Joe Bonamassa per la registrazione dell’album d’esordio dei Black Country Black Communion in cui è stata registrata proprio quella Medusa a cui, 40 anni prima, il tocco di Mel Galley aveva donato un riff immortale. Ad oggi, Hughes è l’unico sopravissuto dei Trapeze ed, ogni tanto, rispolvera la chitarra di Mel nei suoi concerti dal vivo, in cui i classici dei Trapeze sono sempre un appuntamento irrinunciabile.
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