Il 2 marzo 2020 è uscito PGTGS, lo split album condiviso da Palmer Generator e The Great Saunites, edito per Bloody Sound Fucktory, Brigadisco Rec., Il Verso del Cinghiale Records.
Mandrie è l’inedito del trio marchigiano a conduzione familiare dei Palmer Generator (Michele, Mattia e Tommaso Palmieri: rispettivamente padre, figlio e zio a basso, batteria e chitarra, che dal 2010 ad oggi hanno pubblicato tre album), con il quale la “triade dei Palmieri” mette insieme un mix sperimentale eterogeneo fatto di ritagli heavy rock, space rock, krautrock, post-punk e post-rock, cercando di dare continuità a quella pista sonora intrapresa già parecchi anni fa.
Noi di Fotografie Rock abbiamo avuto il piacere di intervistarli e, così, di approfondire il loro interessante progetto artistico.
FR. Come nasce il progetto a “conduzione familiare” dei tre Palmer Generator?
PG: Il progetto è nato nel 2010. Tommaso e Michele già suonavano con una precedente band ora sciolta, i Virgin Iris fondati da Tommaso e nei quali all’epoca era da poco entrato anche il fratello maggiore Michele. Inizialmente con i Palmer l’attitudine era, come si può facilmente immaginare, quella di un progetto da cantina per il tempo libero. Mattia, figlio di Michele che nel 2010 aveva appena 14 anni, aveva cominciato a suonare la batteria. Sfruttavamo la sala prove sotto casa per fare delle suonate, dove hanno pian piano preso piede i primi brani “non ufficiali”, che ovviamente non presentavano ancora una stile preciso ed esistevano sulla base del puro “gioco”. Nel tempo, visto anche lo scioglimento dei Virgin Iris e la crescita, sia musicale che di età, di Mattia, la band si è sempre più consolidata fino ad arrivare al primo album ufficiale del 2014 “Shapes” e poi tutto il resto.
FR: Spesso, quando si parla di famiglia, non si può non parlare di radici: di conseguenza, quali sono le influenze stilistiche del passato che hanno avuto un impatto significativo sulla vostra crescita artistica, come singoli musicisti e come gruppo?
PG: Tutti e tre ascoltiamo davvero tanta musica. Per questioni biografiche Michele è stato sicuramente il primo a buttarsi ed ispirare certe sonorità (anche se in età logicamente più “cresciuta”), poi Tommaso ed infine Mattia, che è sempre stato abituato ad ascoltare quantità enormi di musica e a ricercare fin da piccolo. L’ascolto e l’esplorazione del passato (e del presente) restano infatti sempre i punti fondamentali senza i quali non è possibile dedicarsi alla musica come si dovrebbe. È molto importante che un musicista non si accontenti mai e continui sempre a ricercare assiduamente, senza affidarsi a quello che semplicemente “arriva” ma andando a spulciarsi biografie, archivi e molto altro. Oggi notiamo molti musicisti che, ascoltando davvero poca musica, non ricercano e non scavano a sufficienza quelle che dovrebbero essere le basi. Questo oltre che creare un’incongruenza, ovvero il suonare ma senza piacere di ascoltare, che ci è sempre sembrata una contraddizione in termini, genera una forma di non maturità o di citazionismo coatto in diverse band che continuano a suonare spesso solo per mettersi in vetrina. Per fare un esempio di ascolti (ma potremmo farne molti), a partire da un certo momento è stata molto importante, per noi, tutta quella che potrebbe essere definita la scena di Louisville dei ’90, con band come Slint, June Of ’44, Rodan ed altri. Scoprire il collegamento (reale e non virtuale) tra queste band ci ha inspirato e ha consolidato ancor di più l’idea di cosa sia una “scena musicale” e la sua importanza per lo sviluppo della musica, in un mondo dove invece ci stiamo sempre più “atomizzando” e siamo convinti di poter fare grande musica semplicemente chiudendoci in una stanza, soli davanti ad un pc ed ascoltando solamente quello che ci arriva dal mercato, senza ricercare e senza vivere una scena sulla pelle. Poi c’è il Krautrock, in particolare dei ’70, con band come Can, Ash Ra Temple, Neu, Amon Dull II e in generale tutta la psichedelia sperimentale di quegli anni ma non solo, dato che forte è stato il movimento del rock psichedelico anche nei ’90 e nei 2000. A tal proposito meritano di esser menzionati gli Spacemen 3 e gli ultimi Talk Talk (anche se entrambi i casi sono in realtà degli ultimi anni 80). Il Post-Rock “decostruzionista” con band come US Maple e quello più “sinfonico” dei GodSpeedYou, ma anche musica più aggressiva come quella dei Breach (ma i nomi potrebbero essere infiniti). In generale ascoltiamo (tutti e tre in proporzioni diverse) anche molto Jazz – si pensi a Mingus e Coltrane e anche Don Cherry e Pharoah Sanders – e Classica, dove pure ci piace studiarne la storia e gli sviluppi. Negli ultimi anni ci si è poi più addentrati nel mondo della musica ambient, spaziando dalle avanguardie del genere al drone più etereo e vicino alla non-musica, ed in generale una passione per tutti quei fenomeni musicali che non seguono tempi e mancano spesso totalmente di sezione ritmica. Suonare in famiglia ti permette di condividere anche il tempo libero, quindi ascolti condivisi e discussioni sulla musica sono stati sempre momenti centrali per noi e ci hanno permesso nel tempo di crescere ed ampliare il nostro spettro, che altrimenti non sarebbe andato oltre i “classici”, senza quindi la possibilità di scoprire la vera storia della musica che in realtà si svolge sempre sottotraccia.
FR: Parliamo dello split album PGTGS pubblicato il 2 marzo scorso insieme ai The Great Saunites. Il vostro brano si intitola Mandrie: qual è stato il processo creativo che vi ha condotto alla composizione di Mandrie?
PG: Negli anni abbiamo sviluppato un processo compositivo particolare e non semplicissimo da spiegare. In linea generica si tratta di stendere in primis l’impalcatura dell’intero pezzo, parte che ha in sé una larga dinamica di improvvisazione individuale. Da lì si passa poi al particolare per poi tornare al generale, il tutto più o meno ripetuto fino a quando non siamo soddisfatti del brano. Mandrie è stato composto come un tutt’uno, e solo poi è stato separato in due brani. In generale questa è un po’ la linea comune al nostro approccio. Lo stesso album Natura, del 2018, era stato composto come un unico lunghissimo brano per poi essere suddiviso in quattro parti. La cosa avviene in maniera molto naturale (ed è questo uno dei motivi che ci ha condotto alla scelta del nome “Natura”); è un po’ come se il brano ci fluisse tra le mani e noi, lentamente e con movimenti cauti, lo modellassimo fino alla forma finale. Immagina il procedimento del tornio per fare i vasi, la cosa si svolge similmente. Non creiamo blocchi solidi di riff che si incastonano, ma flussi liquidi e continui sui quali poi lavoriamo. In ogni periodo delle nostre vite tendiamo poi ad avere delle linee guida che si sviluppano autonomamente e che tendono a ritornare nella composizione non necessariamente di nostra volontà. Semplicemente accadono. Ad esempio, uno dei cardini delle nostre ultime composizioni, e anche di quelle a cui abbiamo cominciato a lavorare per dopo PGTGS, è la trasformazione. Mandrie parte infatti con un approccio più aggressivo e suonato in faccia (la cosa è molto visibile in sede live) per poi trasformarsi lentamente, aprirsi ed involarsi su melodie spaziali. Quando lo abbiamo composto questa cosa non è mai stata decisa, è successa. Per quanto riguarda il titolo, Mandrie, proviene dalla agoghé spartana, il regime di educazione a cui erano affidati i giovani. Questi venivano suddivisi in gruppi, appunto le mandrie, sotto un paidónomos, figura di rilievo ed educatore. Con questa scelta volevamo sottolineare l’importanza di un procedimento di crescita che sia individuale e collettivo e l’importanza di sapersi affidare a figure dotate di vera saggezza. In un’epoca dove comanda un egocentrico “sii te stesso” forse ci starebbe un po’ di spazio per un “comprendi te stesso” e un “cambia te stesso”. Senza contare l’idea puramente immaginifica che il concetto generico di mandria suscita, dove ci si immagina una corsa scatenata, libera e selvaggia. Cosa che ci pare molto idonea al brano.
FR: L’artwork di PGTGS è una creazione di Mattia Palmieri, batterista della famiglia: la grafica della copertina ha un significato particolare per Mattia e per le due band (Palmer Generator e The Great Saunites)?
PG: Le grafiche sono partite semplicemente dal volersi collegare con la Grecità antica in senso lato (ambito al quale noi Palmer siamo molto collegati) e da lì sono poi partiti anche i titoli dei brani. In realtà non ci siamo dati grossi paletti, come del resto non ce ne diamo mai molti per le grafiche, al di là del senso estetico della cosa. I materiali grafici sono materiali di repertorio che Mattia ha lavorato liberamente fino a raggiungere un risultato che ci piacesse, e per arrivare a questo ci siamo confrontati tutti e cinque (Palmer e Saunites) costantemente sulla resa grafica. Il contrasto tra il bianco luminoso del fronte e il nero profondo del retro è stato particolarmente ricercato.
FR: In seguito alla recente pubblicazione di PGTGS, come considerate il feedback ricevuto da addetti ai lavori, fan e amici?
PG: I riscontri fino ad ora sono stati davvero ottimi e forse anche sopra le aspettative. Stiamo notando che il disco incuriosisce molto e piace. Forse anche grazie alla longevità sia nostra che dei Saunites, che porta ad essere curioso magari anche l’ascoltatore meno tipico. Le recensioni sono davvero molte e ottime, abbiamo ricevuto tanti apprezzamenti e tanti begli aggettivi per cui non possiamo che essere felici. Ovviamente muovendosi poi, come noi e i compari Saunites, su territori musicalmente alquanto particolari capita che il disco finisca in mano a chi non ha grandi parametri di riferimento e poca abitudine ad ascoltare certe cose, magari perché ancora legati al “formato canzone” che noi eludiamo ampiamente, ma questa cosa è comprensibile e rappresenta comunque la minoranza tra chi decide di approcciarsi al nostro sound. Resta che siamo davvero contenti di notare che tutti quelli che posseggono i riferimenti “giusti” non hanno mancato di apprezzare. Soprattutto abbiamo visto un grande riscontro tra amici e conoscenti, alcuni dei quali sono davvero rimasti entusiasti, in particolare in occasione del live di presentazione. Doveva poi partire a breve un tour di date in giro per l’Italia a cui tenevamo ovviamente molto e che aspettavamo ma che purtroppo, per gli ovvi motivi di oggi che hanno portato al blocco del paese, ci hanno fermato con la speranza di recuperare tutto al prima.
FR: La musica dei Palmer Generator può essere considerata come un moto perpetuo di sonorità sperimentali ed atmosfere psichedeliche e visionarie. Dunque, a tal proposito, dove sono diretti i Palmer Generator? Quale sarà il prossimo step?
PG: Hehe… Come accennavamo stiamo già lavorando a nuove cose, sia perché non riusciamo proprio a stare fermi sia per la situazione attuale del blocco nazionale che ci ha interrotto i live.
In realtà da un certo punto di vista la composizione non si ferma mai, e anche quando facciamo le semplici canoniche prove per il live c’è sempre un qualcosa che esce fuori e che rimane nell’aria. Ci piace infatti il riferimento al “moto perpetuo” a cui accennavate, ci ritroviamo in quest’immagine. Da un certo punto di vista a volte non sappiamo neanche quando sia iniziata la vera e propria composizione di qualcosa. Questa dinamica forse è nata direttamente dal suonare in famiglia, esperienza che ci ha portato, vista la contingenza di ampia libertà, a non darci mai paletti a livello compositivo (paletti che poi mettiamo a livello coordinativo e organizzativo ma che non riguardano la composizione). Stiamo già facendo nuove “cose” in sala prove, dentro le quali si possono sentire tanto delle nuove idee quanto tutto il percorso che già abbiamo fatto, ma non sappiamo quanto di questa nuova miscela sarà ancora lì tra un mese, o l’anno prossimo. Solitamente lo svolgersi dei fatti ci porta a seguire un flusso continuo che parte dall’album appena uscito per arrivare al prossimo. È davvero difficile che si esca improvvisamente con un disco o un qualcosa di completamente diverso dal precedente. Non sappiamo ancora quale sarà il prossimo step, ma probabilmente è già in atto in modo del tutto inconscio. Non sappiamo cosa aspettarci dalla nostra stessa musica e come è sempre stato le cose verranno da sé. Aspettiamo e vediamo.
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