Oga Magoga: recensione di Phalena – 6 dicembre 2017

Oga Magoga

Phalena

Autoproduzione

6 dicembre 2017

genere: beatpastiche, beat rock

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Phalena è il secondo album in studio del gruppo senese Oga Magoga, di cui ho già avuto l’onore di scrivere. Si tratta del secondo capitolo di una quadrilogia iniziata con Shåmbala, in cui il protagonista Glauco si ritrova ad affrontare una fase di grande introspezione. E’ molto interessante notare che questo è un album registrato in presa diretta e in una sola sessione vocale che gli conferisce un’atmosfera live piuttosto suggestiva.

Se dovessi tracciare una linea temporale delle influenze del disco direi che, se Shåmbala mi aveva da subito ricordato gli anni ’60, Phalena si sposta leggermente verso gli anni ’70, con influenze più vicine al rock and roll dell’epoca. L’introduzione al disco, con una traccia senza un vero e proprio titolo ma contrassegnata da un punto, è un classico degli Oga Magoga , un breve brano molto particolare che apre le porte a tutte le successive sperimentazioni che seguiranno.

Musicalmente, notiamo delle chitarre molto piacevoli per tutto il progetto e alcuni pezzi veramente degni di essere sottolineati; tra questi sicuramente Oh Glauco, canzone dalle sonorità acustiche ed accompagnata da un piacevole ukulele che crea un’atmosfera rilassante su cui il testo, a metà canzone, si “scioglie” in semplici onomatopee d’accompagnamento. Phalena, traccia omonima del disco, si apre con un prologo piuttosto scuro di tastiera, il quale ben presto lascia spazio a sonorità più leggere ed aperte di chitarra e ad un basso decisamente corposo.

Il pezzo migliore del disco è Eterno Notte : il brano inizia con un classico degli Oga Magoga, il beat, ma si evolve diventando a metà molto introspettivo e malinconico, accompagnato da un lento e
intimo giro di chitarra che ci porterà fino alla conclusione del brano, prima di lasciare spazio a un finalissimo rock che tiene alta la guardia dell’ascoltatore verso l’ultima metamorfosi di Phalena

La canzone di coda è una strumentale di ispirazione decisamente progressive, caratterizzata da un bellissimo pianoforte che la rende quasi cinematografica prima di farla evolvere in un ritmato giro di beat, per poi lasciare spazio, abbastanza sorprendentemente, a due secondi circa di psichedelia in chiusura.

A tratti si scorgono, ad esempio nel brano Prendi Me , alcune scelte di stesura musicale dei brani che, nel loro essere retrò, ci mostrano nitidamente un mondo musicale da cui generi come l’attuale indie italiano e gruppi di matrice vintage come Le Vibrazioni attingono a piene mani (non facendone affatto mistero).

Per quanto riguarda le voci, mi preme sottolineare un discreto miglioramento del cantante nell’esecuzione vocale del progetto, rendendo giustizia a una stesura delle melodie di buon livello,
così come già era in Shåmbala, e conforme alla composizione generale dell’opera. Questo è un punto più che positivo che rende l’ascolto dell’intero album molto più scorrevole e piacevole.

I testi vertono ancora su argomenti come l’amore e il romanticismo che caratterizzavano il capitolo precedente, ma spesso lasciano spazio a una grande introspezione, un senso di inadeguatezza e una voglia di fuggire, psicologicamente e non, da tutto ciò che circonda il protagonista, Glauco.

La matrice poetica e metaforica del gruppo rimane, comunque, intatta. Gli Oga Magoga si confermano un progetto piuttosto interessante che, seppur ci riporti indietro di parecchi anni, non risulta “senile” ma, piuttosto, tributante di una musica che, come una ruota, è
destinata a ritornare.

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