Articolo a cura di Stefania Milani

Gli annunci che, come le foglie di questo autunno ormai inoltrato, cadono lievi tra le mie mani, mi risollevano e mi fanno sperare in un 2026 promettente sul piano musicale.
Finalmente il grigiore lascia spazio a una passeggiata soleggiata fra i boschi: alzo lo sguardo verso le chiome infuocate degli alberi più noti — Tori Amos che annuncia un nuovo album, Robert Plant che torna con il suo, anniversari importanti e tour indimenticabili come quelli dei Metallica e dei Def Leppard — e mi soffermo poi sulle piccole gemme del sottobosco, sconosciute ai più ma autentiche, genuine, integre e fedeli a se stesse.
Oggi vi parlo proprio di una di queste piccole realtà statunitensi, in cui sono inciampata per una serie di coincidenze, o forse di incroci cosmici, come ci piace chiamarli in casa degli Pseudo Cowboys.
La band è il perfetto esempio di quel qualcosa di prezioso che sembra essersi inceppato nel mercato nordamericano, troppo spesso incline a inondare piattaforme e salotti di musica-gossip invece di affidarsi alla sostanza e ai contenuti.
Personalmente credo che l’uno non debba escludere l’altro e che ci sarebbe spazio per tutto e per tutti.
Lo stile degli Pseudo Cowboys è trascinante, pieno di energia: un rock vero, tradizionale, ma capace di essere giocoso e divertente.
Vi consiglio di cercare su YouTube The Hero Song e i brani dell’album Vacation Sex, che hanno accompagnato i miei viaggi più esotici e on the road, in particolare Oh Rosie, che vi catapulterà in un saloon del Far West per un autentico party cowboy.
See the Sunshine (EP di recentissima uscita) invece ci fa letteralmente vedere il sole, con la spumeggiante intro di Cosplay Rock e una sequenza di cinque brani tutti da ascoltare, in grado di illuminare l’inverno che arriva.

Il loro approccio sa attingere alla tradizione americana restando originale: in Juke, Dirty Penny e Something to Prove (Nothing to Lose) si percepiscono sonorità che richiamano gli Eagles.
Le vere gemme, però, sono custodite gelosamente nel nido riservato ai supporter più affezionati.
In un’epoca in cui si arriva a spezzettare le uscite discografiche in quindici versioni da cinque sterline per scalare artificialmente le classifiche e proclamare urbi et orbi primi o secondi posti nell’Olimpo del mero commercio, gli Pseudo Cowboys fanno l’esatto opposto: proteggono i loro brani migliori su piattaforme a pagamento come Patreon, sostenendo i propri progetti solo con chi crede davvero in loro, senza svendere credibilità e integrità.
Così, gioiellini come Utopian Tyranny — che unisce il canto dei Cheyenne al bisogno di liberarsi da una tirannia invisibile, di orwelliana memoria — o la delicata ballata Through Your Love I’ve Come Alive restano ascoltabili solo per chi sottoscrive il loro Patreon.
Non siete già curiosi?
C’è poi un mistero che accompagna questa band: nonostante collaborazioni costruttive e un atteggiamento sempre corretto, non si capisce perché non abbiano ancora avuto l’occasione di aprire per qualche gruppo più popolare, regalando ai fan una serata di vero rock trascinante e autentico; una festa che sarebbe solo nostra, ben riuscita, e che darebbe loro la visibilità che meritano.
Rivolgo dunque il mio appello pubblicamente, certa che finché c’è vita c’è speranza, e convinta che gli Pseudo Cowboys meriterebbero qualche riflettore in più e un’occasione importante.
Ho chiesto ad Adam Pitts, il loro frontman, qualche riflessione sul fare musica nel 2025 e su ciò che spinge gli Pseudo Cowboys a continuare questo percorso a ostacoli.
La sua risposta, credo, racchiude da sola il senso della musica e di chi ce l’ha nel sangue.
Cosa mi spinge a fare musica al giorno d’oggi?
Oltre a credere che l’atto creativo sia simile a un gesto divino che si muove e si esprime attraverso tutti noi in varie forme, penso che sarebbe un disservizio a quella forza non lasciarla agire attraverso di te, se sei una persona creativa.
Semplicemente, non voglio vivere in un mondo in cui le persone non siano più in sintonia con l’opera di un’anima che ha vissuto e resistito in un modo con cui altre anime possono identificarsi.
Non voglio un facsimile dell’espressione dell’anima attraverso processi automatizzati, come l’intelligenza artificiale e modelli di business orientati al profitto, che ingannino le persone facendole credere che sia anche lontanamente la stessa cosa.
Quindi continuerò a provarci, con la fede che ci sia una qualità indefinibile nella cosa reale, qualcosa che possa avere un significato più profondo per le persone.
In più, ho investito più di metà della mia vita nella musica — non potrei tirarmi indietro ora.
È difficile non esagerare quando si parla della natura spirituale della creazione artistica, ma è proprio questa la conversazione che dobbiamo iniziare ad avere mentre affrontiamo questi cambiamenti.
C’è una differenza tra i risultati calcolati da una macchina e il miracolo che accade ogni volta che qualcuno crea un’opera d’arte.
Io, come Adam, mi rifiuto di rinunciare a quest’idea.
Formazione:
Adam Pitts – voce e chitarra
Tim Wall – batteria, percussioni elettriche
Dominic Sirkin – chitarra, tastiere, cori
Keith Lewis – basso, tastiere, cori
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