Articolo a cura di Stefania Milani
– Vado a vedere i Dropkick Murphys a Cardiff.
– Non li conosco.
– Sì, li conosci.
Questa conversazione l’avrò avuta almeno quattro o cinque volte da quando Chiara mi ha caldamente raccomandato (quasi obbligato) ad andare al loro concerto e anche io, lì per lì, avevo pensato di non conoscerli, per poi realizzare che invece ho ascoltato le loro canzoni centinaia di volte e che hanno anche accompagnato diversi miei post o storie social; solo non le associavo al nome della band. Come capita spesso.
E allora, andando oltre la presunta ignoranza di questa ammissione, ho fatto una riflessione, anche partendo da un pensiero che Cesare Cremonini ci ha consegnato non molto tempo fa sul suo Instagram: “la realizzazione massima della mia esistenza, sarebbe cancellare me, togliermi, perché io sono solo un disturbo per questa canzone (…) quando saremo tutti andati, le canzoni che resteranno, se resteranno, saranno della gente e i nostri nomi saranno solo un fastidio“.
Ho pensato: i Dropkick Murphys ci sono riusciti.
E me ne sono convinta ancora di più la sera di Cardiff, dove ho concluso una settimana di eventi musicali che mi hanno portato anche a Bristol e a Londra, mentre prosegue il mio peregrinare lontano da Itaca.
Il concerto è stato aperto dagli Scratch, seguiti dai Gogol Bordello.
Questi menestrelli riescono letteralmente a trascinare e trasportare sul palco un’atmosfera gitana di strada, festosa e bohémienne, lasciando a loro volta fuori dalla porta qualsiasi spirito di superiorità che un’arena piena possa dare all’ego di un musicista: eravamo tutti lì, coinvolti nella danza con cui l’intera band anima il palco, come in un ideale ballo popolare paesano.

Successivamente è stata la volta dei Dropkick Murphys: il loro folk rock celtico americano irlandese ha trascinato la sala direttamente su quelle antiche navi che portavano tante persone dalla verdissima Irlanda a cercare lavoro negli Stati Uniti, tenendole unite con cornamuse, banjo, fisarmoniche, flauto e bodhrán, e che hanno poi storicamente costituito il collegamento musicale con le proprie radici, ricordi e tradizioni, fondendo la cultura irlandese con quella americana.
Captain Kelly’s Kitchen ha aperto lo show, seguita dalla classica The Boys Are Back, che ha subito riscaldato l’arena.
Un susseguirsi di sonorità celtiche e cornamuse ci ha accompagnato fino alla classica Johnny, I Hardly Knew Ya, ma è stato con Rose Tattoo che credo di aver colto appieno la carica emozionale e la connessione profonda che lega questa band alla loro fan base: ho visto spettatori presi fino alla commozione per un brano che deve aver accompagnato molti episodi di vita vissuta e che arriva al cuore e nelle vene con versi come questi.
Some may be from showing up
Others are from growing up
Sometimes I was so messed up and didn’t have a clue
I ain’t winning no one over
I wear it just for you
I’ve got your name written here
In a rose tattoo
E ancora una volta mi sono convinta che, quando una band riesce a coinvolgere e farsi amare attraverso parole incondizionate che sostengono e confortano nei momenti più difficili o sciolgono il ghiaccio emozionale che questa vita a volte crea, quel legame speciale non dovrebbe mai essere spezzato per motivi futili o legati al business: ed eccoci alla musica autentica che riempie le arene senza pubblicità, senza apparizioni promozionali televisive, senza inutili narrative fittizie e artificiose sui social media, con le canzoni che arrivano prima ancora del nome della band (torniamo al ‘non li conosco e invece sì’), completamente contrapposti a tutto questo ciarpame di cantanti mascherati alla bisogna, perennemente sui tabloid del gossip, di cui invece si sa anche cosa mangiano a colazione ma non si ricorda un solo titolo. Aria fresca in un’industria che deve fare una profonda riflessione sulla direzione che vuole prendere per mantenersi umana.
I’m Shipping Up to Boston è stata la perla dell’encore che, come un luminoso fuoco d’artificio finale, ha chiuso una serata spumeggiante, calda e coinvolgente, carica di significato e di storia, che unisce due Paesi transoceanici.
Dropkick Murphys Setlist at Utilita Arena Cardiff, Cardiff:
Captain Kelly’s Kitchen
The Boys Are Back
Prisoner’s Song
Mick Jones Nicked My Pudding
(F)lannigan’s Ball
Which Side Are You On? (The Almanac Singers cover)
The Warrior’s Code
Rippin Up The Boundary Line
Going Out in Style
Bastards on Parade
James Connolly (Black 47 cover)
Curse of a Fallen Soul
The Hardest Mile
Walk Away
Forever
Johnny, I Hardly Knew Ya
The State of Massachusetts
It’s a Long Way to the Top (If You Wanna Rock ‘n’ Roll) (AC/DC cover)
Rose Tattoo
The Irish Rover (Joseph M. Crofts cover)
Worker’s Song
Encore:
I’m Shipping Up to Boston
Until the Next Time
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