Algiers: recensione di There Is No Year – 17 gennaio 2020

Algiers

There Is No Year

Matador Records

17 gennaio

genere: gospel, synth, post-punk, new wave, elettronica

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Recensione a cura di Alberto Maccagno

Il 17 gennaio 2020, per Matador Records, è uscito il terzo album in studio degli Algiers, gruppo di musica sperimentale originario di Atlanta. Il titolo del progetto è There Is No Year, contiene undici canzoni e apre ben più di qualche spiraglio per le nostre riflessioni e i nostri sproloqui.

Ad oggi, a livello musicale, è molto difficile inventare qualcosa (quasi impossibile) ma a volte nemmeno serve perché, citando Massimo Zamboni, “quello che c’è basta e avanza per fare 100.000 dischi, 100.000 concerti, 100.000 cose…”.

E questa è la filosofia degli Algiers. Nel disco troviamo influenze di diverso tipo, varie e tutte piacevoli: abbiamo una forte vena elettronica che accompagna tutto il lavoro, un’impronta post-punk/new wave ispirata a gruppi come i Depeche Mode o i P.I.L., diversi elementi della musica trip-hop e le caratteristiche del canto blues e gospel, che donano una fortissima atmosfera black al progetto.

Infatti, in passato la band ha avuto modo di aprire il tour negli stadi del 2017 dei Depeche Mode e di collaborare con Adrian Utley dei Portishead alla produzione della propria musica.

Queste differenze sono particolarmente apprezzabili in brani come Dispossession, facilmente campionabile per tutti i produttori di musica rap/hip hop, che si rifà alle principali sonorità del trip, oppure Chaka, un brano che ricorda parecchio lo stile anni ’80 dei Depeche Mode, ma che viene spezzato da un assolo di chitarra hard rock.

Nothing Bloomed è il capitolo più “emotional” di There Is No Year, il cantato solitamente corposo e fortemente gospel si fa più flebile e delicato, seguendo la parabola discendente (dal punto di vista
emotivo) dell’album. La canzone di chiusura, Void, ci coglie piacevolmente impreparati in quanto si tratta di un pezzo punk rock, diretto e schietto, dove è la violenza musicale a farla da padrona e che ci dà la ciliegina da mettere sulla già buonissima torta che questo progetto rappresenta.

Anche da un punto di vista lirico,il disco presenta ottime potenzialità. I testi dell’album nascono tutti da Misophonia, letteralmente “paura del suono”, ossia un poema scritto da Franklin James Fisher , il cantante della band. Si tratta di un racconto distopico ambientato in una società insensibile e ormai priva di speranza che, metaforicamente, rappresenta anche il nostro “io” interiore e la nostra anima.

Filo conduttore è una sofferenza interna, che si nasconde tra le parole e i versi degli Algiers, e la ricerca di qualcuno con cui lottare in questa guerra, mentre il mondo brucia. Viene, infatti, esposta più volte all’interno delle canzoni quest’ultima immagine, di un mondo che
non ci appartiene più e che il cantante osserva dato alle fiamme, reali o metaforiche, dalla sua solitudine. Per certi versi, la struttura poetica ricorda quella di un grande romanzo distopico, ossia 1984 dello scrittore britannico, di origine indiana, George Orwell.

Ci troviamo davanti a un progetto che sfida la monotonia e l’apatia dei nostri tempi, ricercando stimoli nel passato, mescolandoli nel presente e lanciandoli nel futuro, incuriosendo l’ascoltatore
sempre più riguardo alle prossime evoluzioni e sperimentazioni degli Algiers.

Ne parleremo ancora.

Alberto Maccagno

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Membri della band:

Franklin James Fisher: voce, chitarra, pianoforte, campionamenti, percussioni, violoncello

Ryan Mahan: basso, sintetizzatori, percussioni, voce

Lee Tesche: chitarra, loop, percussioni, voce, leetar

Matt Tong: batteria, percussioni, voce

* * *

Tracklist:

1. There Is No Year

2. Dispossession

3. Hour of the Furnaces

4. Losing is Ours

5. Unoccupied

6. Chaka

7. Wait for the Sound

8. Repeating Night

9. We Can’t Be Found

10. Nothing Bloomed

11. Void

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