Amorphis: recensione di Halo

Amorphis

Halo

Atomic Fire Records

11 febbraio 2022

genere: melodic death metal, symphonic death, progressive metal, doom metal-core

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Come si fa a scrivere una critica su un album degli Amorphis? Quando hai a che fare con musicisti del loro calibro, e ti metti all’ascolto di un nuovo album degli Amorphis (Halo è il quattordicesimo prodotto in studio della band), il dubbio non è se sarà all’altezza della loro storia, ma che tipo di novità possano ancora proporci.

Dopo aver mescolato decine di influssi e cambiando continuamente pelle, gli Amorphis sono rimasti fedeli a sé stessi, riuscendo ogni volta a far sembrare l’ultimo disco il migliore di sempre.

Queen Of Time – il precedente in studio risalente a quattro anni fa – fu emblematico, in tal senso, perché capace di riscoprire sonorità antiche e spaziare tra tutte le influenze che hanno segnato la discografia del collettivo finnico. Cosa diavolo potranno inventare ancora? Mi domando, inserendo il CD nel lettore.

Un pezzo da collezione, ecco la risposta. Halo stordisce, scuote, entusiasma, scervella e intriga sin dal primo ascolto (benché ne occorrano almeno tre per apprezzarlo appieno, in ogni suo dettaglio), grazie alla declinazione in musica di quelle figurine tridimensionali che cambiano aspetto a seconda dell’inclinazione: può essere la release più progressive o più groove che abbiamo mai ascoltato, e ciò può differire in merito al nostro livello di attenzione, oppure in base allo stato d’animo con cui ci accostiamo ad esso.

All’interno di ciascun brano, ognuno dei quali suddiviso in più atti, si articolano melodie catchy e passaggi complessi, parti atmosferiche e altre di puro headbanging, afflati groovy in cui la componente tecnica viene stemperata da vocalità accattivanti e momenti che richiamano il melodic-death sinfonico delle origini. Attraverso le undici tracce di Halo, gli Amorphis compiono l’ennesimo viaggio arabescato, non fallendo mai l’obiettivo di maturare passo dopo passo e regalando emozioni sempre nuove.

Ora, potrei fare come mio solito e parlarvi, in ordine sparso, delle canzoni che compongono Halo: dalle sonorità arabeggianti che fanno capolino in A New Land, tra tremolo riffing e linee di basso stupende, all’assolo power di Windmane, che ammorbidisce il tutto giocando su controtempi e cambi di ritmo, dall’episodio più groove dell’intera release, suggellato in When The Gods Came, alle atmosfere seventies create dallo splendido organo Hammond in Northwards, dalle partiture sinfoniche della title-track (ivi compreso un inserimento di archi) ai tempi dispari che impreziosiscono la suadente The Moon.

Potrei raccontarvi l’entusiasmo generato in me dal delicato e articolatissimo riff che apre e accompagna l’intera War, e di come riesca a fondersi alla perfezione con la sua parte sinfonica e con i cori da rock-opera; di quanto faticosamente mi abbia colpito il tech-doom-death-core di The Wolf, arricchito a sua volta di coralità gotiche. Potrei tessere le lodi delle melodie vocali femminili, che sublimano il finale di Halo nella closing track My Name Is Night (che vede la partecipazione di Petronella Nettermalm, vocalist della progressive band Paatos), ed esaltarmi per i riff granitici di On The Dark Waters e per le metriche incantevoli della stupenda When Seven Roads Come Together.

Potremmo discutere per ore e ore delle suddette caratteristiche compositive, invece preferisco parlarvi di come l’album scorra come una pinta di birra fresca a ferragosto, centrando il nostro cuore senza filtri analitici e senza interruzioni. Vorrei argomentare del tocco magico di un gruppo musicale in grado di incantare fin dall’LP di esordio, forte di un inconfondibile wall of sound che coniuga clean e growl all’interno di una costante altalena di riff tra lead guitar e tastiere, dietro un sapiente utilizzo dei synth e di strumenti tradizionali del folk scandinavo. Il tutto amalgamato con la maturità armonica di una realtà progressive, insieme alla capacità di sapersi rinnovare senza perdere mai le proprie coordinate.

In più, in questo caso siamo di fronte a una produzione cristallina, con arrangiamenti di prima scelta e un’ispirazione compositiva, soprattutto per quanto riguarda le linee vocali, al di sopra della media. Durante il corrente anno solare, abbiamo ascoltato diverse uscite in ambito melodic-death scandinavo, anche di ottimo livello, che però assumono connotati persino scolastici se messi al cospetto delle opere a firma Amorphis.

Pertanto, invitando qualunque appassionato di buona musica a dedicare un po’ di tempo all’ascolto di Halo, vorrei focalizzarmi sulla maestria con la quale certi musicisti riescono a rendere apprezzabili e immediati anche i più complessi dei lavori armonici.

Ecco, se dovessi identificare la dote principale che rende speciali gli Amorphis, direi che è l’innata abilità di far apparire semplici le più incredibili partiture tecniche. Virtù che è propria solo dei fuoriclasse e che incarna integralmente l’arte scritturale di Halo: il miglior album degli Amorphis. Almeno fino al prossimo.

Tracklist:

1. Northwards
2. On The Dark Waters
3. The Moon
4. Windmane
5. A New Land
6. When The Gods Came
7. Seven Roads Come Together
8. War
9. Halo
10. The Wolf
11. My Name Is Night

Membri della band:

Tomi Joutsen – voce
Esa Holopainen – chitarra solista
Tomi Koivusaari – chitarra ritmica
Olli-Pekka Laine – basso
Santeri Kallio – tastiere
Jan Rechberger – batteria, tastiere

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