Anohni & The Johnsons: recensione di My Back Was A Bridge For You To Cross

Anohni & The Johnsons

My Back Was A Bridge For You To Cross

Secretly Canadian

7 luglio 2023

genere: soul, R&B, folk acustico, gospel, spiritual, blues, sonorizzazioni cinematiche

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

“La schiena è la parte che non puoi vederti, quella che lasci agli altri. Sulla schiena pesano i pensieri, le spalle che hai voltato quando hai deciso di andartene”. (Margaret Mazzantini)

A sette anni di distanza da Hopelessness, il collettivo newyorkese Anohni & The Johnsons manda alle stampe il suo nuovo album (quinto in studio) intitolato My Back Was A Bridge For You To Cross, edito per Secretly Canadian e co-prodotto assieme al chitarrista Jimmy Hogarth.

La copertina dell’album presenta un ritratto di Marsha P. Johnson, icona LGBTQ+ che Anohni (pseudonimo di Antony Hegarty, artista transgender britannica) aveva incontrato nei primi anni 90, poco prima che l’attivista morisse in circostanze misteriose. Marsha P. Johnson ebbe un ruolo fondamentale nel percorso di emancipazione di Anohni, tanto da tributarle il nome della band.

In questo comeback discografico, raccolto in dieci tracce dal taglio autobiografico e arrangiate in versione elettroacustica per piano, voce e chitarra, Anohni ci tiene a invocare un risveglio delle coscienze e a ribadire le sue preoccupazioni per i rischi ambientali causati dai cambiamenti climatici e soprattutto dalla negligenza dell’essere umano, evidenziando – nel contatto viscerale che lega passato e presente, e nel trasporto epidermico per le sfumature della black music americana degli anni 60 e 70 – un aspetto che al giorno d’oggi si sta dirigendo verso letture sempre più controverse, ovvero l’importanza universale dei diritti civili e sociali degli esseri umani.

Il focus narrativo di My Back Was A Bridge For You To Cross ruota attorno al fallimento del mondo dei vivi, sempre più corrotto dagli abusi, dalle contraddizioni, dai pregiudizi (“I don’t like this place, can’t endure this misery”) e dalle cieche imposizioni delle religioni (“your god is failing you, giving you hell”). Dinamiche velenose e complessità che l’interprete d’origine inglese, come una gigantesca spugna di emozioni, denuncia apertamente (“it doesn’t matter who you are, or where you come from, it doesn’t matter what you’ve got to give, or why you want to live, you’re my scapegoat”), quando con estro impetuoso quando con momenti di eterea dolcezza.

Se da un lato quello di Anohni è un chiaro invito a vincere l’ipocrisia di pensare che in fondo tutto dipenda dagli altri, e che tutto ruoti intorno al luogo comune del mondo che deve cambiare, come se il mondo fosse un’entità estranea alla nostra volontà (“if you wanna make the world a better place take a look at yourself than make a change”, dal brano Man In The Mirror, di Micheal Jackson), dall’altro incoraggia a riappacificarsi con la propria identità, coi propri tormenti interiori, come una colpa che aspetta la sua tregua, o una pietra in fondo all’oceano che attende i raggi del sole.

Le canzoni di My Back Was A Bridge For You To Cross parlano, dunque, di perdita e disuguaglianze, di solitudine e accettazione, di crudeltà nei confronti della terra e verso la natura (“it’s my fault, the way I broke the earth”), della possibilità di essere ancora in grado di trasformare noi stessi e il mondo nel rispetto delle diversità (“so those opposites, they don’t exist, it’s just an idea that someone told you, and that’s why this is so sad”). D’altronde, chi l’ha stabilito che non può esistere armonia tra gli opposti, tra le diversità?

Così, nell’enfasi di quel vibrato baritonale così sensibile, malinconico, fragile, schivo e carico di rotondità soul, gli Anohni & The Johnsons riescono a trasmettere un’intimità magica, coinvolgente e al contempo dolorosa e tormentata; un saliscendi emozionale intriso di tonalità morbide, dense e vigorose, che prende forma attraverso certa poetica riconducibile a Marvin Gaye, Al Green, Nina Simone e Donny Hathaway.

Una sequenza di flangers, riverberi e tremolii di chitarra si insinuano in profondità, sottopelle, plasmando gradazioni sonore di diversa intensità emotiva, tra distorsioni acid-blues alla Jack White (Go Ahead), ballad dal fascino magnetico, dilatazioni folk-cinematiche dal gusto tarantiniano e quel raffinato e sornione groove di perle R&B-soul. Immaginate se il dialogo tra Marsellus Wallace e Butch in Pulp Fiction fosse accompagnato in sottofondo dalle note suadenti di It Must Change, anziché da quelle di Let’s Stay Together di Al Green.

In There Wasn’t Enough troviamo echi e colorazioni che rimandano a profumi dell’estremo oriente, come un incantesimo che sfugge in punta di tasti, fino a condurci in un’altra dimensione. Sliver of Ice è invece ispirato da una conversazione che Anohni ha avuto con Lou Reed settimane prima che morisse nel 2013 (“now that I’m almost gone, sliver of ice on my tongue, in the day’s night, it tastes so good, it felt so right for the first time in my life”), realizzando che non è mai troppo tardi per scoprire sensazioni mai provate prima (“it was cool and it was good, I never knew it before”), come il semplice gesto di assaporare la freschezza di un cubetto di ghiaccio che si scioglie in bocca.

My Back Was A Bridge For You To Cross è, pertanto, l’ennesima riprova di come la musica rappresenti ancora – anche in questi tempi così difficili – uno strumento propedeutico alla comprensione dei cambiamenti sociali, capace di trascendere qualsiasi barriera culturale, mettendo in comunicazione spazio-tempi distanti tra loro.

Ed è sulla nostra schiena che si andranno ad accumulare tutte le tensioni a cui siamo sottoposti, quale ponte tra dimensione fisica e onirica su cui andranno a pesare le ripercussioni delle sofferenze e il sacrificio di certe scelte. Voler cambiare le cose, oppure dover cambiare le cose, questo è il dilemma. Ma a volte non è così facile trovare la forza necessaria per farlo, e soprattutto non è così facile portare a casa certe vittorie di civiltà.

Tracklist:

1. It Must Change 2. Go Ahead 3. Sliver Of Ice 4. Can’t 5. Scapegoat 6. It’s My Fault 7. Rest 8. There Wasn’t Enough 9. Why Am I Alive Now? 10. You Be Free

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