Baustelle
El Galactico
BMG
4 aprile 2025
genere: psichedelia anni 60, country folk, cantautorato italiano, synth-pop, synth-country
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Recensione a cura di Andrea Musumeci
“L’amore e la morte sono le sole cose belle che ha il mondo, le solissime degne di essere desiderate”. Giacomo Leopardi
A distanza di due anni dalla pubblicazione di Elvis, i Baustelle tornano in scena per celebrare i loro venticinque anni di carriera, mandando alle stampe il nuovo album intitolato El Galactico, edito per BMG e anticipato dall’uscita dei singoli Spogliami, Canzone Verde Amore Tossico e L’Arte di Lasciare Andare.
Nonostante sia trascorso un quarto di secolo dal primo lavoro in studio, Sussidiario Illustrato Della Giovinezza, i tre “galacticos” dell’indie-rock tricolore (Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini) continuano a modellare il loro make-up autorale e a fotografare edonismo ed eccessi dell’attualità, pur rimanendo fedeli alla propria linea creativa, a quel connubio tra ricercato barocchismo cantautorale e melodie della musica leggera italiana, registri nonsense e drammatici, riflessione ed evasione, malinconica spensieratezza dei suoni e spietata visione della realtà. “E così vado avanti con il rischio di non essere capito. Non semplifico la mia musica, non mi adatto al pubblico”, spiega Francesco Bianconi.
El Galactico è un viaggio intimo e onirico lungo dodici canzoni, filtrato attraverso le luci e le ombre di un presente di provincia che vive ancora nel mito della California: un’esperienza multisensoriale a metà tra Californication e Black Mirror, che va dai vigneti di Montepulciano alle crush sul lungomare adriatico, dall’insegna al neon di un bar di tacos di una Milano notturna al sole struggente di Los Angeles, passando per la natura selvaggia delle isole Canarie.
“Il disco è nato dal titolo, da un’insegna luminosa al neon nel buio di una notte solitaria a Milano, che è stato il nostro faro durante la scrittura dei pezzi. Galactico faceva pensare a un bar che poteva essere lì o anche in Messico. La mia immaginazione si è allargata fino ad arrivare alla California, a quella degli anni Sessanta, con band e artisti caratterizzati da un suono particolare”, racconta Bianconi.
Così, i Baustelle si lasciano alle spalle il glam-rock di Elvis per tuffarsi nella scintillante e lisergica psichedelia d’ispirazione West Coast anni ’60 (Beach Boys, Buffalo Springfield e Byrds), confezionando sonorità intrise di armonie corali beachboysiane, richiami flower-beat, atmosfere e orchestralità cinematiche, ritornelli orecchiabili, echi beatlesiani sponda Lennon-Harrison, sgargianti chitarre jingle-jangle, organi Hammond e stratificazioni strumentali.
C’è posto anche per l’impronta brit dei Pulp e il Bruce Springsteen di Dancing In The Dark, mentre mielose tessiture synth-pop e ballad sintetiche dal taglio country-folk completano il ventaglio stilistico dell’album.
Con El Galactico, il trio toscano sblocca un immaginario di ricordi e suoni che strizzano l’occhio al vintage, al revivalismo, ma con quel senso di “felice tristezza” che serve a non distogliere lo sguardo dalla contemporaneità. Infatti, sensibili ai temi sociali e politici contemporanei, con la curiosità e le velleità filosofiche di chi cerca ispirazione osservando i cambiamenti dell’oggi, i Baustelle provano ancora una volta a scandagliare l’amaro e il dolce delle emozioni umane, ad accendere lampadine emotive sulla violenza che attanaglia i nostri tempi:“La violenza è qualcosa che ormai vediamo succedere di frequente, come fosse parte integrante dell’essere ragazzi oggi. Il compito di noi artisti è scrivere canzoni che intercettino ciò che succede nella realtà, tutto il resto viene da sé”, aggiunge ancora Bianconi.
I contenuti testuali di El Galactico, nel consueto mix tra citazionismo colto e popolare, descrivono il megastore della vita e l’essere umano moderno con le sue insanabili fragilità; l’eterno dualismo tra amore e morte (Pesaro), le crisi di mezz’età e l’ossessione di inseguire l’eterna giovinezza (“spogliami di tutte le certezze e gli anestetici, ormai non sento niente, quindi spogliami del desiderio di restare giovani e stronzi tra la gente”), l’instabilità relazionale e l’omologazione dei sentimenti (“non senti più canzoni nuove che raccontino di noi”), le dipendenze tossiche derivanti dall’esposizione digitale, tra cui pornografia soft, spettacolarizzazione del dolore e storie di cronaca nera che parlano di abusi e violenze diffuse su internet (“in questo video non c’è la prova certa di un senso, mi viene voglia di essere una foglia e dal vento farmi portare via”).
E poi, ancora, la coscienza ecologica delle nuove generazioni e il pianeta che continua a essere governato dai vecchi (“perché io so di vivere con il disastro che hai programmato te, spendo i tuoi soldi finché ce n’è”), cuori infranti che ruotano attorno a un’orbita di illusioni e rischiano di affogare nella solitudine di spiagge esotiche (“io vorrei tuffarmi nel mare solo per affogare, perché tu non sai niente del mio cuore, e la mente che si ostina a pensarti”), la mercificazione della bellezza in una società sempre più individualista che giudica e condanna dall’alto delle sue inossidabili ipocrisie e contraddizioni (La Filosofia di Moana), l’ansia di dover dare un significato alla routine e la sofferenza di quei vuoti esistenziali che spesso e volentieri si celano dietro le regole degli algoritmi (“non è più tempo di sparare al cielo, e mascherare il vuoto che si ha con algoritmi e pose”).
El Galactico si conclude nel delicato e romantico elogio de La Nebbia, intensa ballata per pianoforte e voce dove l’amore è capace di nascondere gli orrori della realtà, e nella psichedelia strumentale di Non È Una Fine.
Se la realtà è terrificante, e siccome non è mai facile fare una sintesi ben distaccata, è naturale che subentri il bisogno di alleggerire la sensazione di avere il mondo addosso. A modo loro, i Baustelle raccontano i nostri stati d’animo quando ci smarriamo, cercando di trovare un modo qualunque per disintossicarsi dalle dinamiche patologiche dell’attualità e fuggire dalle cattiverie di un mondo dove l’amore rappresenta ancora l’unica forma di resistenza al dolore: “Eppure io ti amo sai? Anche se all’orizzonte se ne va la nave delle possibilità”. Che dopotutto, cos’è il vero amore se non questo volontario naufragare nella realtà.
Tracklist:
1. Pesaro 2. Spogliami 3. Canzone verde, amore tossico 4. Filosofia di Moana 5. Una storia 6. L’imitazione dell’amore 7. L’arte di lasciar andare 8. Per sempre 9. Giulia come stai 10. Lanzarote 11. La Nebbia 12. Non è una fine
Membri della band:
Francesco Bianconi – voce, cori, kazoo, organo, sintetizzatore, mellotron
Rachele Bastreghi – voce, cori
Claudio Brasini – chitarra elettrica
Altri musicisti:
Federico Nardelli – batteria, percussioni, basso elettrico, chitarra (elettrica, acustica e baritona), organo, sintetizzatore, pianoforte, pianoforte elettrico, mellotron, cori; Alberto Bazzoli – organo, organo Hammond, sintetizzatore, mellotron, clavicembalo, vibrafono, glockenspiel, pianoforte, pianoforte elettrico; Lorenzo Fornabaio – chitarra elettrica, cori; Julie Ant – batteria, percussioni, cori; Milo Scaglioni – basso elettrico, cori; Enrico Gabrielli – flauto, sax, clarinetto; Davide Albrici – tromba, trombone; Dario Romano – fagotto; Luca Tognon – oboe; Feyzi Brera – violino, viola; Budapest Art Orchestra – archi
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