Spiritworld: recensione di Helldorado

Spiritworld

Helldorado

Century Media Records

21 marzo 2025

genere: hardcore, crossover, dark country, punk rock

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Cos’è una prova di maturità, se non la capacità di andare oltre i propri limiti, uscire dalla comfort zone e restare in piedi? Gli Spiritworld, di cui ho tessuto le lodi in modo quasi deferente, due anni or sono, per quel capolavoro thrash-hardcore che porta il nome di Deathwestern, in quale modo potevano dar seguito ad un album di tale splendore?

Non è mai facile, ma certo non avrebbero potuto, né dovuto, proporre un copia e incolla: avrebbero arrestato la parabola ascendente che, con pieno merito, li vede ormai da tempo in tour con gente del calibro di Obituary o Agnostic Front.

Quindi, l’unica via d’uscita da quel cul de sac (rappresentato da un capolavoro come Deathwestern) era cambiare ed esplorare nuovi territori, cercando di dare una voce differente ai propri incubi, un respiro più armonico e meno costretto entro i vincoli di un genere tanto trascinante, quanto auto limitante. Così, con la realizzazione di Helldorado, gli Spiritworld che non ti aspetti hanno cambiato registro in modo deciso, senza snaturarsi, fornendo una prova di maturità e divertendosi.

Lo hanno fatto a volte in maniera traumatica, quasi con la cesoia, si direbbe, facendo ricorso a strumenti non convenzionali, talora spegnendo gli amplificatori e inserendo, ove lo ritenevano opportuno, generose contaminazioni di natura solo apparentemente lontana dalle loro radici, tra Ghoultown e (sic) Beach Boys, tra iniezioni di country e flebo di punk.

Noi che siamo spettatori di questo processo legittimo, però, abbiamo delle aspettative e non possiamo nascondere la difficoltà nel digerire ballate country, sassofoni e riflessioni da falò notturni piazzate nel bel mezzo del nostro furioso, agognato e mai sufficiente headbanging.

Perciò è un atto di fede quello che vi chiedo, iniziando a parlarvi di Helldorado: concedetegli più ascolti, concentratevi (lo dico anche a me stesso, perché lo faccio di rado) sui testi, cercate di respirare all’unisono con la musica, di trovare il mood giusto. Provate a calarvi con coraggio tra i vostri demoni e fantasie malate (chi non ne ha?), tra strazianti ululati notturni e i fantasmi nascosti dietro le file oscure di alberi che contornano l’altra sponda di quel fiume nel New Mexico. Solo allora sentirete che c’è un senso, anche profondo, nell’assolo sax di Prayer Lips o in una closer come Annihilism.

Non è facile e talora può sembrare persino una forzatura: come se volessi ad ogni costo trovare il bello in questo disco, oppure negare a me stesso la sensazione che quel riffing, devastante e sempre sulla lama del rasoio, sembri meno ispirato e scuotente. Eppure credetemi: anche Helldorado finirà nella mia collezione. Dopo averlo strappato alla polvere del deserto del Mohave, avrò bisogno di far decantare Deathwestern, disponendomi all’ascolto con uno spirito completamente diverso, più nichilista, disincantato e, paradossalmente, più aperto.

Dovrò trovare il coraggio di affrontare i miei tanti mostri fino al punto da pormi, magari con un boccale di birra in mano, in sintonia con loro, essere disposto a danzare con loro il ballo della morte, nel buio freddo di una nottata all’addiaccio, affianco al fedele cavallo e con una mano sul Winchester.

Del resto, che non sarebbe stato il solito album (ma al terzo LP già esiste un prototipo di album?) degli Spiritworld lo si capisce fin dall’intro della opener Abilene Grime: “dadaumpa” e arpeggio country-punk che, tuttavia, sprizza rabbia dalla voce stridula e urlata di Stu Folsom, fino a sfociare in un riff che più slayeriano non si può. Duro e cattivo come sempre, il resto del brano mi fa tirare un sospiro di sollievo, eppure i ritmi sono mid e la batteria mi suona più punk che hardcore.

Allora capisco che devo drizzare le antenne, pormi in ascolto su una più ampia gamma di frequenze e non lasciarmi ingannare dalla sontuosa, sprezzante e destruente No Vacancy in Heaven: è lì apposta per ricordarmi di cosa sono capaci questi lisergici cowboys di Las Vegas. Un episodio di indimenticabile hardcore screziato di un groove monolitico: riffoni di granito, palm muting come se piovesse e un breakdown che sa tanto di omaggio ai Pantera di Cowboys From Hell.

Sulla sua scia si colloca, come la coda di una cometa nel cielo di una notte texana, Western Stars And The Apocalypse, forse addirittura stressando il cambio di rotta e aprendo il sipario sul momento più intimista dell’intero disco: il punk, arricchito da arpeggi country, di Bird Song Of Death e della già citata western ballad Prayer Lips.

Quando le armi riprendono a suonare la loro canzone mortale, è come se qualcosa in me fosse cambiato, e Waiting On The Reaper mi trova disposto ad una narrazione completamente diversa. Ora sì, Deathwestern è solo un ricordo e mi apro totalmente all’hardcore-groove, corroborato dagli onnipresenti cori, anche nella successiva e potentissima Oblivion, senza più aspettarmi il devasto di sempre.

Non faccio una piega di fronte ai passaggi basso-voce vagamente nu-metal, o al cantato “blackened”: sono sottolineature alla battaglia oscura e tenebrosa che Stu ci sta raccontando con genio e sregolatezza. Né di fronte a Cleansing, interludio metà arpeggio, metà industrial, che lascia presto la scena alla violenza sincopata di Stigmata Scars: fanno parte del gioco perverso.

Un gioco la cui natura morbosa, demoniaca, schizofrenica, ma tanto punk e ancor più americana, trova in Annihilism la chiusura forse più appropriata: “this running gun ain’t fixing to run anymore”. Date retta: armatevi di un buon whisky, abbattete i vostri steccati e dategli una chance.

TRACKLIST:

1. Abilene Grime 2. No Vacancy in Heaven 3. Western Stars & The Apocalypse 4. Bird Song of Death 5. Prayer Lips 6. Waiting on the Reaper 7. Oblivion 8. Cleansing 9. Stigmata Scars 10. Annihilism

Lineup:

Nick Brundy – basso
Preston Harper – batteria
Randy Moore – chitarra
Matt Schrum – chitarra ritmica
Stu Folsom – voce

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