Black Snake Moan: recensione di Lost In Time

Black Snake Moan

Lost In Time

Area Pirata Records, Echodelick Records

24 maggio 2024

genere: psych folk, dark blues, techno country, desert blues, elettro-blues

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

A cinque anni di distanza dall’esperienza lisergica di Phantasmagoria, con in mezzo un’intensa attività live (prima come solista one-man-band, poi in duo con il polistrumentista Matteo Lattanzi), il cantautore Marco Contestabile, in arte Black Snake Moan, torna a setacciare l’intima ambiguità delle emozioni umane attraverso il suo nuovo album intitolato Lost In Time, pubblicato per l’etichetta italiana Area Pirata Records e la label statunitense Echodelick Records, con la partecipazione straordinaria di Roberto Dell’Era (Afterhours, The Winstons) al basso e voce nel brano Sunrise.

Quello di Black Snake Moan è un progetto artistico che, nella scelta del nome e nell’ispirazione concettuale, riprende il titolo del brano del bluesman texano Blind Lemon Jefferson, “Il Lamento Del Serpente Nero”, riconducendo alle diverse sfumature di quel simbolismo precolombiano legato alla figura del serpente, nel suo modo occulto di incarnare il tema del cambiamento e rievocare la ciclicità del tempo, della vita stessa – come raffigurato nell’artwork di copertina a cura di Laura Kensington, con uno stile grafico che mescola immaginario stoner e cultura psichedelica degli anni 60.

Scandito da echi e riverberi di un viaggio introspettivo incentrato sulla ricerca di equilibrio nell’armonia degli opposti e sulla convivenza degli eterni e inscindibili contrasti che coinvolgono la natura dell’essere umano (luce/buio, giorno/notte, sole/luna, realtà/sogno, capitalismo/creatività), Lost In Time condensa sollievo e afflizione nella metafora della clessidra, immaginando in alto il futuro, in basso il passato e in mezzo quel restringimento che idealmente riproduce l’inafferrabile presente, con la sabbia del deserto che, istante dopo istante, granello dopo granello, va a posarsi sul fondo di quell’involucro dall’anima trasparente.

Una sorta di cerimoniale liturgico che si avvolge in fumi d’incenso, raccogliendosi in nove tracce dalle atmosfere vintage potenti, dilatate, misteriche e dense. Visioni surreali, quand’anche cinematiche, oscillano tra ritmiche statiche, armoniche e ribollenti, da cui scaturisce un pellegrinaggio ascetico, ieratico e allucinato che dalla terra del tufo si proietta a ritroso nel tempo, in luoghi che sanno di esilio e memorie primordiali.

Si va da luccicanze di psichedelia beat west-coastiana (West Coast Song, Cross The Border) ad incalzanti uptempo quasi dance (Light The Incense), tra pulsazioni new-wave sintetiche e febbricitanti vibrazioni raga-indiane (Put Your Flowers), passando per quelle trame oscure e terrose del dark-blues (Dirty Ground, Come On Down) che rimandano allo spiritualismo sciamanico del delta-blues statunitense, con influenze ascrivibili a Mark Lanegan, Wovenhand, 16 Horsepower e The Doors.

Così, come se esistesse una corrispondenza musicale tra le antiche origini etrusche dell’autore, le sconfinate dune del deserto del Thar e le lande melmose del Mississippi, Black Snake Moan – con quella fisionomia da vichingo norvegese trapiantato a Memphis, cappello nero da mormone e un crooning melodico, ipnotico, dolente e messianico – ci conduce oltre le porte della percezione di una trance strumentale folk-trip-adelica che trasuda resine aromatiche e contenuti connessi all’esplorazione, sia interiore sia cosmica. Un universo fantasy-blues dove perdersi rappresenta l’unico modo per mitigare l’assurdo degli eventi e superare certi confini mentali.

facebook/blacksnakemoan

Tracklist:

1. Dirty Ground 2. Light The Incense 3. Come On Down 4. Shade Of The Sun 5. Sunrise 6. Going Back 7. Put Your Flowers 8. West Coast Song 9. Cross The Border

Credits:

Arrangiato, eseguito e prodotto da Black Snake Moan (voce, chitarre, batteria, percussioni, basso, tastiere)

Musica e testi di Black Snake Moan

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