Kerry King: recensione di From Hell I Rise

Kerry King

From Hell I Rise

Reigning Phoenix Music

17 maggio 2024

genere: thrash metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Il re è tornato. Viva il re!
Dopo anni di rimpianti per la (a suo dire) prematura sparizione degli Slayer dalle scene e dopo mesi di interviste e polemiche con alcuni dei vecchi compagni di avventura, Kerry King fa irruzione nel magma sonoro del 2024 con From Hell I Rise, il primo frutto del suo progetto solista.

Per tutti coloro che hanno seguito le dichiarazioni del chitarrista e anima (nera) di una delle band più acclamate del pianeta, non c’è nulla che stupisca in questo comeback: non poteva che circondarsi di un supergruppo, non avrebbe potuto che trattarsi di un sound slayeriano, non poteva certo regalare sorprese o effetti speciali, ma solo ricalcare cover e tematiche che rappresentano la comfort zone di un artista coerente, spigoloso e monolitico.

Forse troppo hype, forse aspettative alte e prevedibilità, forse il fatto che i vecchi fan di Araya & Co. abbiano la fama di incontentabili intransigenti, fatto sta che un mucchio di date europee della nuova combo sono già state cancellate. Ahinoi, anche quelle italiane. Costi troppo elevati o flop dell’album, vien da pensare, ma solo se non si è ascoltato From Hell I Rise o lo si è fatto con le orecchie foderate di pregiudizi: l’album è una bomba, ha un tiro micidiale, non è affatto scontato e non è un semplice copia e incolla di Repentless.

Dato che, al giorno d’oggi, la musica corre sul filo del web e di un paio di cuffie, ormai gli appassionati del genere lo avranno ascoltato tutti, per cui non sarà una vera e propria recensione, la nostra, ma più una riflessione aperta.
L’opera, è vero, è strutturata profondamente in continuità con l’evoluzione e l’ultima decade di attività degli Slayer e fin dall’intro, Diablo, riporta al 2015; ma già il riff che lo lega al primo brano, Where I Reign, così come lo speed su cui si sviluppa, il suono del basso e soprattutto una produzione discretamente vintage, rimandano in modo innegabile ai Metallica di Master of Puppets molto più che ad Araya. Ascoltate e ditemi se non c’è ampia traccia di Disposable Heroes, nelle vostre orecchie. L’impatto è parecchio duro, ma se vi aspettate che si proceda su questo tenore, salvo un paio di classici slow slayeriani, dovrete ricredervi fin da Residue: l’episodio trasuda groove e trova fortuna indiscussa nella combo assolo (Demmel on fire) – breakdown, che tramortirebbe un T-Rex. Primi dieci minuti devastanti come un asteroide da settanta tonnellate.

Idle Hands è la prima traccia davvero slayeriana e, per struttura e base ritmica, potrebbe essere benissimo inserita in Repentless, ma è arricchita da un riffone portante che è un vero paradigma thrash e da un ottimo “stop & go” che non la rendono scontata. Il disco continua a girare splendidamente senza cedimenti quando, per i detrattori, Throphes of the Tyrant potrebbe fornire i primi argomenti: apparentemente più semplice e banale, in realtà non manca di spunti di interesse, a partire dalla sontuosa e creativa prestazione di Bostaph, passando per gli assoli di Demmel sdraiati su una base tanto affine al mai sufficientemente acclamato Undisputed Attitude (a mio modestissimo parere uno dei pochi cover album che si possono definire irrinunciabili e perfino seminali grazie al sound irresistibile). Un mid tempo sulfureo meritevole del massimo rispetto.

Casomai è nella parte centrale che il disco perde un po’ di interesse, almeno da parte mia: Crucifixation meriterebbe miglior sorte e lo strumentale dal sapore sabbathiano avrebbe avuto senso se fosse stato molto più breve. Tension è il classico slow mefistofelico che, però, non decolla mai. Toxic, una delle tracce più riuscite, riff-based e classicamente thrash di tutto il platter, è incastonata tra due bordate nitidamente punk, come Everything I Hate About You e Two Fists. Per me, ma si tratta solo della mia opinione, non stonano: fa parte della storia degli Slayer e di King. Diretti come due cazzotti, appunto.

Mark Osegueda, che non ha certo bisogno di presentazioni, pur cantando in stile Araya, ha una personalità ben definita e non risulta affatto un doppione. A chi critica le sue linee gridate nel microfono, rispondo che, forse, non è un fan degli Slayer, perché liriche e voce hardcore sono incise nel DNA della band e si sposano con il suo stile: nessuna sorpresa, anche qui, ma davvero volete cercare la novità ascoltando Kerry King?

Da qui, si apre un trittico di chiusura che qualunque fan degli Slayer senza troppi grilli per la testa dovrebbe amare, perché Rage fa letteralmente onore al suo titolo, con uno speed micidiale che mi trascinerebbe in un mosh pit anche alla mia veneranda età; Shrapnel viaggia sul filo dei pungenti mid tempo slayeriani, irrobustita però dall’uso della cassa del buon Bostaph e da un granitico riff centrale. Per la chiusura è stata scelta la title track, che per me condensa un po’ il gusto del leader, perché è il brano con meno compromessi dell’intera release e ne rappresenta la sintesi: tiro devastante, grande prova di tutti i suoi protagonisti (ancora Bostaph sugli scudi), effetto trascinante. Ma non memorabile.

Sincero, immediato, diretto, suonato perfettamente, questo sì. Manca un ingrediente, il tocco dello chef, quello che trasforma un buon brano o un bel disco in un pezzo da novanta: per le memorabilia, tornare al capitolo 1986-1990. Ma se amate il genere, conservate nel cuore un certo sound e credete nella musica senza pregiudizi, questa spremuta di cattiveria merita un posto nella vostra collezione.

Tracklist:

1. Diablo. 2. Where I Reign. 3. Residue. 4. Idle Hands. 5. Trophies Of The Tyrant. 6. Crucifixation. 7. Tension. 8. Everything I Hate About You. 9. Toxic. 10. Two Fists. 11. Rage. 12. Shrapnel. 13. From Hell I Rise.

Line-up:

Kerry King – chitarra
Mark Osegueda – voce
Phil Demmel – chitarra
Kyle Sanders – basso
Paul Bostaph – batteria

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