Disrupted
Chasm Of Eternity
Concreto Records
1 luglio 2025
genere: technical death metal, groove death, blackened death
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Recensione a cura di Marco Calvarese
Siccome nulla può eguagliare il piacere della scoperta e del passaparola nella galassia metal, oggi voglio portarvi a scoprire del buon death in salsa messicana. Per gli amanti del genere – dai Brujeria in poi – non si tratta certo di una terra inesplorata. Una band come i Disrupted, scoperta per sbaglio come Colombo che cercava le Indie, è quanto di più inatteso e meritevole mi sia capitato tra le mani negli ultimi tempi.
Chasm Of Eternity, recente terzo full length della formazione di Queretaro, ascrivibile con buona approssimazione al filone tech-death, ha il merito di mescolare alcune caratteristiche proprie del tessuto sociale di provenienza con svariate influenze del death americano ed europeo. Soprattutto mi ha colpito la capacità di fare della tecnica non un solvente, come troppe volte accade, finendo per slegare e rendere poco organico il lavoro di altre band, ma piuttosto un filo conduttore che tiene insieme la trama musicale proposta.
Pregio quanto mai necessario, visto che Chasm Of Eternity esplora molteplici sfaccettature del death metal: dal prog occasionale al groove, passando per piccole ma sensate dosi di melodia, ma anche varie declinazioni del technical death, con evidenti richiami ai maestri del genere che vanno dai Decapitated ai Necrophagist. Di tutto questo mi sono reso conto fin dai primi minuti di ascolto: dopo l’intro sintetico e claustrofobico di Facing The Nothingness, Vanitatem Terras apre le porte al più tradizionale tech death, nel riffing come nei cambi di tempo, senza mai disdegnare incursioni in chiave groove dal sapore LOG (vedi refrain e bridge). Il risultato è coinvolgente e, a mio avviso, sarebbe ulteriormente valorizzato se il mixaggio non esponesse l’assolo all’eccessivo risalto dato alla cassa.
Gruesome Panorama accentua, se possibile, l’elemento groove con una resa altissima: il growl di Javier Becerril è perfetto, profondo, malefico, estremamente intellegibile, e il suo grido “memento mori” mi si è piantato nel cranio, divenendo il mantra della mia estate. Ma non ci sono solo qualità e mestiere sorprendenti a conferire una spiccata personalità. L’episodio si chiude in chiave melodica e il quasi costante controcanto in scream ruba qui la scena, rendendo il tutto ancor più malinconico.
Il dolce massacro si declina, poi, in chiave puramente technical nella title-track: una combinazione di controtempi in cui si susseguono arpeggio e tremolo riffing. Una parentesi enigmatica e articolata che non funge da fulcro, bensì da ponte verso una “b side” altrettanto valida ma diversa. Si parte con Uroboro, omaggio alla propria terra cantato in lingua madre con una vena melodica profonda e sentita, che restituisce all’ascoltatore (per lo meno io l’ho vissuto così) un prodotto speciale, denso di orgoglio e ferocia. L’elemento folk, interpretato in modalità strumentale estrema, fa capolino anche in Cenobite, crogiolo di riff in cui si insinua una melodia frontaliera che mi rimanda (sia pur declinata in tutt’altro linguaggio sonoro) agli ultimi Spiritworld.
Senza mai perdere interesse, si arriva all’ultimo capitolo del secondo atto: Condemned to Relapse. Se da un lato il brano mostra il suo grande potenziale, grazie a un riff interpretato in tremolo e riarrangiato in chiave groove a supporto di un growl pazzesco, dall’altro mostra un’evidente criticità nella parte centrale, sia perché l’assolo sembra tagliato in fase di mixaggio, sia a causa di un paio di link discutibili.
Al di là di queste piccole pecche tecniche, la concentrazione sull’ascolto rimane alta,visto che stiamo entrando nel terzo e ultimo capitolo del disco. Un concept che va dalla costruzione all’implosione dell’universo attraverso i tre atti intitolati Exolvuntur. Qui i temi e gli arrangiamenti si fanno più complessi, fino a catturare lontani echi dei Job For a Cowboy o, nelle strutture e in certi momenti atmosferici, dei Blood Incantation. Non ci sono eccessi progressivi, anzi: i Disrupted sembrano non perdere mai di vista il fattore impatto, mentre le note si dipanano in modo costruttivo e piacevole, sebbene continui a preferire la prima parte dell’album.
Dopo l’ambient di Exolvuntur II, il terzo e ultimo take riassume e sintetizza al meglio l’incontro tra tecnica e brutalità, chiudendo in modo brillante e suggestivo un lavoro di ottimo livello, che merita l’ascolto di tutti gli amanti di certe sonorità death, ricercate e al contempo immediate.
Io ho dato una possibilità ai Disrupted, mi ci sono piantato per dieci giorni e li ho promossi nella mia collezione: se al prossimo giro in sala registrazioni riusciranno a trovare il bilanciamento giusto tra tecnica e anima, avremo un nuovo motivo di fierezza per la scena messicana. Scommettiamo?
Tracklist:
1. Facing The Nothingness 2. Vanitatem Terras 3. Gruesome Panorama 4. Chasm Of Eternity 5. Uroboro 6. Cenobite 7. Condemned to Relapse 8. Exolvuntur I (Eternity Construction) 9. Exolvuntor II (Aeternum) 10. Exolvuntor III (Return to Core)
Line-up:
Víctor Castro – chitarra, Javier Becerril – voce, Luis Lara – batteria, Alex Cardoso – basso, Fer Castro – chitarra
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