i cani
Post Mortem
42 Records
10 aprile 2025
genere: indie-pop italiano, cantautorato italiano, raga indiano, electro-wave, industrial rock, disco fuzz rock, post-punk, psych pop
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Recensione a cura di Andrea Musumeci
Dopo un lungo periodo dietro le quinte come autore e produttore, Niccolò Contessa torna in veste solista con Post Mortem, un progetto che segna sia la rinascita de i cani (scritto per la prima volta in minuscolo), sia una svolta profonda rispetto al suo passato artistico. È un album spietato e disarmante, che cattura il disorientamento di una generazione, quella dei millennials, dei cosiddetti hipster, attraverso una scrittura asciutta, lucida e tagliente, in bilico tra introspezione e critica sociale.
Contessa sembra prendere le distanze dalla scena indie-pop italiana, esplosa nei primi anni Dieci e successivamente entrata nel mainstream grazie ad artisti come Calcutta, Thegiornalisti, Gazzelle e Coez, che hanno portato al centro dell’attenzione testi intimisti, spesso ironici, su relazioni e vita quotidiana, fondendo cantautorato, elettronica e rap. In questo ritorno, il cantautore nato a Spoleto, ma romano d’adozione, abbandona l’estetica lo-fi da cameretta per dar vita a un’opera più matura e riflessiva, dal sound stratificato e ricercato.
È opportuno premettere che Post Mortem non è un disco adatto a ogni momento, ma richiede il giusto stato d’animo. È un lavoro che arriva quando la necessità di capire lascia il posto al bisogno di accettare, quando le aspettative si sono ormai esaurite e ciò che resta è solo carbone ridotto in cenere, passione trasformata in indifferenza, quando si sfiora l’illusione temporanea della felicità (“credo di essere felice, mi sembra di essere felice”).
Post Mortem è la radiografia dolorosa e cinica di una generazione che è cresciuta con l’idea che tutto fosse possibile e che oggi fa i conti con la precarietà, l’ansia da prestazione, il confronto incessante con il giudizio. È il racconto di una sconfitta inevitabile e del lento processo con cui si capisce che cadere è a volte un passaggio indispensabile per crescere: “sei già caduto nel mare, ma non hai ancora toccato il fondo”. D’altronde, è proprio questa fallibilità intrinseca a renderci umani.
Contessa mette in discussione l’io, l’identità, e mostra come il nostro peggior nemico non sia fuori ma dentro di noi: “chi mi aveva ingannato, chi mi ha prostituito, che mi ha prima esaltato e poi mi ha tradito”. L’unico modo per sopravvivere a quel senso di vuoto dentro sembra essere il conformismo sociale: rifugiarsi in una bolla d’appartenenza, arrendersi alla normalità, fare come fanno tutti: “fare gli auguri ai parenti per le feste di Natale, scambiare due chiacchiere in palestra o in ascensore”.
Ma esiste anche una seconda via, più difficile: l’attesa dell’onda giusta. Il coraggio di restare fragili in un mondo che premia solo la forza fisica. Post Mortem sottolinea come, nonostante l’interruzione globale causata dalla pandemia, nulla sia davvero cambiato. Restano quindi le ipocrisie, le contraddizioni e i buchi neri del nostro tessuto sociale, insieme alla difficoltà di affrontare le zone oscure dell’anima e a una cultura egocentrica ormai stabilmente radicata nel nostro vivere quotidiano.
Nelle tredici canzoni dell’album, prodotte in collaborazione con Andrea Suriani, Contessa intreccia riferimenti musicali e letterari per filtrare le dinamiche della contemporaneità. In Davos risuona La montagna incantata di Thomas Mann: l’isolamento come metafora di un tempo sospeso, senza guarigione possibile. In Felice, Kafka diventa la voce della colpa che origina dall’ansia di una felicità obbligata. In Io rievoca Tarkovskij e si apre con la voce di Stalker, che nel dialogo tratto dal finale del film riflette sull’assenza di anima e fede nel mondo moderno, rammentando che “quando l’uomo nasce è debole e duttile, ma quando muore diventa forte e rigido”.
Come il colpo di tosse che apre Sweet Leaf dei Black Sabbath, anche Post Mortem parte da piccoli gesti, esperienze comuni, per arrivare a toccare corde profonde. “Un lampo di luce, un colpo di tosse, dieci anni di noia, una spina nel fianco e una nel cuore”. Come a dire che per trovare l’ispirazione – per fare una canzone – serve un qualcosa che sia vero e nostro.
Musicalmente, il disco abbandona le atmosfere prettamente sintetiche dei lavori precedenti per esplorare una nuova dimensione sonora: un collage tra malinconia e grottesco, tra arabeschi synth e distorsioni post-punk, tra psych pop alla Post Nebbia e arrangiamenti che riescono a combinare sperimentazione e orecchiabilità radiofonica.
Si attraversano territori sonori eterogenei e complementari: pulsazioni electro-wave, groove fuzz disco incalzante (Nella Parte Del Mondo In Cui Sono Nato), martellanti distorsioni industrial, vibrazioni raga d’impronta beckiana (Davos) e persino tracce di rock’n’roll glammoso a cassa dritta che rimanda a certe sequenze dei Bluvertigo e Kasabian (Buco Nero, F.C.F.T.). Su tutto, aleggia l’aura sacrale della ballata cantautorale che guarda a Battiato (Felice, Un’altra Onda), Branduardi e Bianconi, ma senza scadere nella retorica del citazionismo.
Se Aurora alludeva a un nuovo inizio, mostrando speranza e sensibilità al cambiamento, Post Mortem rappresenta l’analisi a freddo, il bilancio doloroso dopo la fine di un ciclo, dopo che è passato l’effetto hangover post adolescenziale. È il momento in cui ci si guarda indietro – e dentro – per capire cosa è successo davvero, per riconoscere – anche nei fallimenti – una forma di liberazione.
Niccolò Contessa ci mostra le situazioni kafkiane in cui viviamo, quasi a suggerire che, in fondo, non siamo poi così diversi da Gregor Samsa. Ci siamo costruiti delle maschere per sopravvivere, ma restiamo comunque vittime e carnefici di noi stessi. Soffochiamo le vere emozioni in favore di una felicità artificiale: si piange in silenzio, si sorride per dovere, si evitano i discorsi profondi per non turbare la quiete altrui: “non si piange ai matrimoni, non si ride ai funerali, non si complica la vita alla gente coi tuoi problemi immaginari”.
Si vive inoltre con un perenne senso di colpa (“l’elemosina ai barboni ma rimani sempre colpevole, quando mangio a cena fuori mi sento sempre colpevole”), ma il peccato originale non è solo religioso: è sociale, culturale, economico. C’è anche la critica nei confronti della mentalità occidentale, come fosse una condanna a vita (“nella parte del mondo in cui sono nato, fin da piccolo mi hanno insegnato che tutto è corrotto, tutto è sbagliato […] vivere è fascista, nascere è reato, vivere è capitalista, nascere è peccato”). Contessa non fa sconti neanche all’amore, che a un certo punto della vita, per molti, diventa una specie di trappola, l’inerzia di una routine in cui “due sconosciuti continuano a chiamarsi amore”.
Con Post Mortem, Niccolò Contessa si assume quindi l’ingrato compito di raccontare l’assurdo, la solitudine e la malinconia del vivere senza maschere. Osserva la vita per come è, anche quando fa male. È l’espressione matura, onesta – a tratti struggente e naïf – di chi non ha bisogno di hype mediatico o di scendere a compromessi con il consenso. È l’autoritratto di una generazione disillusa che suo malgrado, al netto della tanto inflazionata nostalgia, cerca ancora un motivo per lasciarsi andare e tornare a galla: “tra un po’ toccherai con i piedi la sabbia e ti rialzerai, e vorrai un’altra onda”.
Tracklist:
1. Io 2. Buco Nero 3. Colpo di Tosse 4. Davos 5. Colpevole 6. F.C.F.T 7. Post Mortem 8. Felice 9. Nella Parte Del Mondo in Cui Sono Nato 10. Madre 11. Carbone 12. Buio 13. Un’altra Onda
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