Helloween: recensione di Giants & Monsters

Helloween

Giants & Monsters

Reigning Phoenix Music

29 agosto 2025

genere: power metal, speed metal, AOR, hard rock

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Happy, happy Helloween, signori miei: le zucche son tornate, e tutti insieme, per festeggiare l’evento, intoniamo un sarcastico “trick or treat” con due mesi d’anticipo. E parlo di festeggiare a ragion veduta, perché Giants & Monsters, diciassettesimo LP dei padri del german power, è un inno alla gioia del ventunesimo secolo e un riuscito caleidoscopio sonoro.

E chissenefrega, se qualche ortodosso storcerà un po’ il naso o se io stesso non sono nel mood per ascoltare happy metal: gli Helloween sono il richiamo della gioventù, e sono loro a impormi il mood, cantando direttamente al mio cuore. E al cuore, si sa, non si comanda.

Del resto, dopo quarant’anni di carriera, artisti come questi non dovrebbero avere più nulla da dimostrare, ma questo, nel mondo del metal, non vale mai: sei sempre alla prova e il giudizio dei metalheads è sempre sospeso tra accuse di ripetitività e cedimento al mercato. Gli Helloween, però, non hanno solamente attraversato la storia: hanno contribuito a scriverla, e oggi semplicemente fanno musica come pare a loro, certi della fedeltà della propria fan base.

Giants & Monsters è il secondo disco prodotto dalla band dopo la reunion con i fuggiaschi Kiske e Hansen, e raccoglie la pesante eredità di un album omonimo. Non poteva, pertanto, restare sul punto: occorreva offrire al pubblico qualcosa di diverso ma, al contempo, fedele al proprio marchio, capace di tenere insieme le molteplici sensibilità presenti tanto nella combo artistica quanto nella propria platea.

La strada scelta dagli Helloween per raggiungere una meta così ambiziosa è quella di un semi-concept, il cui tema è stato illustrato da Andi Deris, uno dei protagonisti e (a mio avviso) dei principali artefici del songwriting: in ere pre-bibliche, la Terra era popolata di giganti, e tutti noi potenzialmente lo siamo ancora, ma siamo schiacciati e messi in fuga dai nostri demoni, i mostri che sono dentro e fuori di noi. Tuttavia, abbiamo nell’animo le potenzialità per essere di nuovo dèi, giganti, salvatori del mondo.

La tracklist, fin dai titoli, ci parla di questa filosofia, e la proposta sonora, come vedremo, ne è intrisa. Che Deris, insieme a Kai Hansen, sia protagonista della scena lo si percepisce da subito, perché la opening track Giants On The Run ne porta l’imprinting in modo inconfondibile: il delicato arpeggio che sorregge le prime strofe riporta agli esordi di Andi nella band, mentre la seconda parte del brano reca il sigillo dei Gamma Ray in ceralacca. Si tratta, a tutti gli effetti, della splendida traccia-locomotiva dell’album.

Il messaggio si snoda poi attraverso sentimenti diffusi di positività e speranza, elargiti a profusione lungo tutte le dieci tracce. Lo stile è lo stesso di sempre, ma declinato in tutte le molteplici versioni di sé che le zucche crucche ci hanno mostrato in quattro decadi di carriera.

La struttura della release è molto convenzionale, alternando momenti più intimi e altri ad alti ottani, inserendo al momento giusto l’immancabile ballad (Into The Sun, gradevole ma ordinaria, e opportunamente di breve durata) e la tradizionale suite (Universe), in cui si mescolano in modo mirabile speed-power e parti strumentali suggestive e atmosferiche.

Si trovano sì omaggi al precedente disco, ma anche a Walls Of Jericho (provare We Can Be Gods per credere, a partire dall’acuto iniziale: uno degli episodi più trascinanti in assoluto), a Pink Bubbles Go Ape e soprattutto a Master Of The Rings, quello che, ormai 31 anni fa, suonò come un comeback delizioso e geniale che permise ai nostri eroi di disincagliarsi dalle secche di Chameleon, senza rinnegare la propria anima più pop e melodica. La sensazione è che lo spirito sia proprio quello, accentuando, tuttavia, la connotazione radio-oriented.

Brani come A Little Is a Little Too Much, una specie di incrocio tra Dio, Scorpions e Survivor; This Is Tokio, dove cori, tastiere e melodie sembrano partiture AOR a metà strada tra Toto e Bon Jovi; o, ancor più, Hand Of God, vero inserto pop-rock di vago sapore funk, possono suscitare reazioni contrastanti durante l’ascolto: ci sarà chi avrà un attacco d’orticaria da allergia al miele, ma sono sicuro che chi ha imparato a conoscere le zucche sappia apprezzare anche il retrogusto dolce della loro polpa.

Lasciatevi, allora, trasportare con una DeLorean direttamente a metà degli anni ’80 con lo speed ultra tradizionale di Savior Of The World e provate a far vostra la voglia sconfinata di melodie nostalgiche che attraversa Giants & Monsters, talora affiorando con irruenza, altre volte invece sotto traccia come un fiume carsico, finendo per rappresentare il filo conduttore dell’intera trama.

A me, questo album ha ricordato l’anima che contraddistingue l’ultimo episodio solista di Bruce Dickinson: una navigazione libera e a vista tra radio e palco, tra hard rock e metal, tra la voglia di accarezzare e quella di sferzare l’ascoltatore, con un approccio narrativo costante in cui la forma-canzone non viene mai meno e le note paiono al servizio del racconto, e mai viceversa.

Libertà, voglia di parlarci, di divertire e divertirsi, e vagonate di nostalgia: come altro definireste un brano come Under The Moonlight? L’apoteosi dell’happy pop metal, talmente happy e talmente pop da risultare spiazzante persino per me, ormai assuefatto a trovate del genere (ricordate Rise And Fall?). Ah, quei cori che sanno di Queen, di fronte ai quali non sai se lanciare il CD dal finestrino dell’auto in corsa o metterti a cantare insieme a loro! Molto dipende dall’umore di giornata.

L’onore dell’atto conclusivo viene riservato all’episodio più bello del disco: Majestic è un’altra suite che vale da sola l’acquisto, in cui l’apertura contiene il fascino di un refrain di pianoforte, ma che poi esplode in lunghi fraseggi tra chitarre neoclassiche e più squisitamente power, che desiderereste non smettessero mai.

E, quando il brano va a sfumare, vi accorgerete di star cantando “the masters we are” insieme a Kiske. Perché i maestri del power sono sempre loro, ed è bene ribadirlo, anche se Giants & Monsters non è un disco per tutti o per tutti i momenti, ma certo merita spazio tra le vostre zucche. Ma solo se ne sapete apprezzare il dolce retrogusto.

Line-up:

Andi Deris – voce, Michael Weikath – chitarra, Sascha Gerstner – chitarra, Markus Grosskopf – basso, Dani Löble – batteria, Kai Hansen – chitarra, voce, Michael Kiske – voce

Tracklist:

1. Giants On The Run 2. Savior Of The World 3. A Little Is A Little Too Much 4. We Can Be Gods 5. Into The Sun 6. This Is Tokyo 7. Universe (Gravity For Hearts) 8. Hand Of God 9. Under The Moonlight 10. Majestic

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