Ibaraki: recensione di Rashomon

Ibaraki

Rashomon

Nuclear Blast Records

6 maggio 2022

genere: black metal, dark metal, metalcore, progressive metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Forse le presentazioni, in questo caso, sono d’obbligo: Ibaraki è un progetto musicale ideato e realizzato da Matt Heafy, il leader dei Trivium. Dopo un decennio di faticosa gestazione, il 6 Maggio 2022 ha finalmente visto la luce Rashomon, il debut album degli Ibaraki, i quali, fin dalla cover e dal titolo, hanno chiarito appieno i loro obiettivi: riportare alla luce le più oscure leggende medioevali giapponesi e ritrovare in esse le radici dello stesso Heafy, nato, appunto, in Giappone.

Sostengo da tempo che Matt Heafy (insieme a Kay Hansen e a Gary Holt) sia tra i massimi geni della galassia metal, uno dei più versatili e creativi, tanto come chitarrista, quanto come vocalist e compositore. Questo progetto, pensato come un black metal concept dedicato alla terra natìa, è la pistola fumante di tutte le mie teorie.

L’idea originaria, come dicevo, è piuttosto datata, ma l’incontro con Ihsahn (deus ex machina degli Emperor), da cui è nata e una forte amicizia, ha impresso una svolta al project side Ibaraki, divenendo un lavoro a quattro mani. È netta l’impronta di entrambi gli artisti, nonché dei tanti ospiti che hanno collaborato non senza lasciare traccia di sé: dai membri dei Trivium, alla moglie e le figlie di Ihsahn, anch’esse artiste in carriera.

Non sapremo mai fino in fondo cosa Heafy avesse in mente in origine, ma il prodotto finale, pur restando fedele a se stesso nelle tematiche, e pur possedendo in nuce i lineamenti del black metal, è divenuto un’opera caleidoscopica, un mix di black, dark, metalcore, progressive e acustica, che trae ispirazione tanto dai Trivium, quanto dagli Emperor. Ciò che più mi ha colpito è stata la qualità degli arrangiamenti, capace di esaltare le doti canore del suo ideatore e, nel contempo, di sottolineare la vena tecnica e compositiva dei suoi collaboratori.

Il fil rouge del concept è rappresentato da un tappeto sonoro violento e alternato a passaggi melodici di alto cabotaggio, in stile Trivium, con momenti acustici o più marcatamente progressivi che non possono non richiamare alla memoria alcuni fraseggi di marca Opeth e che assicurano spessore a tutti i brani.
L’intero lavoro presenta un sound compatto in cui la direzione è sovente impressa da Ihsahn, con le sue tastiere dal gusto sinfonico, progressivo e profondamente darkeggiante.

La voce di Heafy è costantemente in primo piano, spaziando dal pulito politonale allo scream più puro con una naturalezza disarmante ed un effetto sulfureo e straziante: perfetto per la scenografia. Spruzzate di suoni “unconventional”, ricavate anche da strumenti tradizionali giapponesi, rendono le atmosfere ancora più mefitiche, come in una trama oscura in cui il protagonista talora sembra raccogliersi in sé stesso, per poi di nuovo esplodere nello scream. La varietà sonora, canora e la fluidità organica dell’opera rendono l’ascolto un’esperienza mai banale, senza cedimenti, dalla produzione limpidissima e degna dei migliori palati, che non tradisce in nessun modo le (mie) trepidanti attese.

Il black metal, in tutto questo, non è che il pensiero primordiale, il big bang: talvolta è solo un germe che si insinua nel sound attraverso la timbrica della lead guitar, mentre in altri episodi si manifesta nel muro della ritmica; in ogni brano, le contaminazioni sono talmente dominanti da conferire all’intera release imprevedibilità e tensione.

Lo dico senza tema di smentite: Rashomon è un album adatto a chiunque ami la buona musica e per questo meriterebbe una chance da parte di tutti gli appassionati. L’opera si inscrive entro il perimetro definito rispettivamente dagli intro e outro folk di Hakanaki Hitsuzen e Kaizoku, per dipanarsi attraverso una tracklist fatta di brani mediamente lunghi ed estremamente vari: si va dal taglio più black metalcore di Kagutsuchi, al black sinfonico-dark metal, fino alle intense venature prog di Ibaraki-Dojo e Tamashii No Houkai.

Ma quando Jigoku-Dayu si apre con un arpeggio dolcissimo per poi sciogliersi in una composizione dalla struttura puramente progressive, capisco due cose: che Rashomon va ascoltato tutto d’un fiato per coglierne appieno la organica complessità, e che sono di fronte ad un assoluto capolavoro tecnico.

Sensazioni rafforzate da canzoni apparentemente atipiche, ma perfettamente amalgamate con il resto del disco, come Akumu – traccia che sembra pensata appositamente per l’ospite di turno (Nergal, leader dei Behemoth) – in cui i passaggi groove-death sono sapientemente arrangiati fino a formare una soluzione omogenea con il dark-simphonic-black del resto dell’album. Oppure come il prog-dark-core condito da strofe in giapponese di Susanoo No Mikoto, in cui l’esercizio del bilinguismo enfatizza ulteriormente il piacevole contrasto (che attraversa l’intero LP) tra violenze sanguinolente e il gusto melodico presente in ogni pièce.

Questa sensazione di continuità concettuale dei brani non è scalfita neppure da una ballad non convenzionale come Komorebi, che invece affascina con quegli strumenti orientali dal suono così liquido e alieno, insieme all’assolo più bello del disco, né da quel capolavoro di melodia, groove e oscurità intitolato Ronin, in cui arpeggio e tastiera si fondono con le linee vocali per dar luce a un brano che resta dentro dal primo minuto e che non stanca neppure dopo dieci ascolti, nonostante sia la traccia più lunga.

Giunto alla fine, è come se gli Ibaraki mi avessero dilaniato la schiena per un’ora di pura claustrofobia e sadismo.
E se neppure tutto questo vi scuote dal torpore estivo o dall’attesa delle prossime uscite di grido (Machine Head, Amon Amarth, Megadeth…), vuol dire che forse non avete un cuore. Il mio, concedetemelo, è ancora gonfio di dolore e piacere.

Tracklist:

Hakanaki Hitsuzen
Kagutsuchi
Ibaraki-Dōji
Jigoku Dayu
Tamashii No Houkai
Akumu
Komorebi
Rōnin
Susanoo No Mikoto
Kaizoku

Membri della band:

Matt Heafy – voce e chitarre
Ihsahn – tastiere, strumentazione aggiuntiva, produzione.

Guests:

Alex Bent, Paolo Gregoletto, Nergal, Corey Beaulieu, Gerard Way, famiglia Solberg Tveitan (Ihsahn)

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