Recensione a cura di Andrea Musumeci
22 ottobre 1974. I KISS pubblicano il loro secondo album dal titolo Hotter Than Hell.
All’inizio degli anni ’70, la cultura hippie era morta e sepolta, assieme alle sue idee e speranze rivoluzionare, mentre il rock dei ’70 era maturo per cercare nuove strade: avrebbe potuto recuperare la dimensione spettacolare che aveva confinato a causa della politicizzazione del rock del decennio precedente.
Progressive e folk stavano per diventare contenitori saturi ed il punk e la disco erano ancora lontani dai riflettori del mainstream. Fu così che la prima metà dei Settanta venne dominata dall’avvento del glam rock. Il periodo d’oro e luccicante del glam rock durò, però, pochi anni, fino a che la società tornasse nel baratro della crisi economica, detta crisi energetica, che, dal 1974, fu per Stati Uniti ed Europa una grossa mazzata, a causa del forte innalzamento del prezzo del petrolio da parte di alcuni paesi arabi, maggiori produttori ed esportatori di petrolio.
Tornando al glam rock; il termine deriva dall’aggettivo glamour, cioè attraente, affascinante, un vero e proprio supporto ad un rock in piena crisi d’identità. La questione morale del successo non era un problema da porsi: il glam rock esaltava il benessere e la celebrità, completamente in antitesi con la funzione politica della musica dei ’60.
Umore decadente, ambiguità sessuale, abbigliamento frivolo e appariscente, erano i principi sui cui si fondava un genere visivamente spettacolare e musicalmente essenziale.
Ergo, il glam rock non era un vero e proprio genere musicale, bensì un modo di essere e apparire. Il glam rock si estendeva dal ritmo boogie dei T-Rex allo stile sofisticato di David Bowie e Roxy Music, all’hard rock diretto degli Slade, Sweet e dei KISS, fino ai lustrini pop di Gary Glitter e Renato Zero.
Per questo motivo, il glam rock si è contraddistinto principalmente per l’aspetto dei performer; più per le pose che assumevano che per la musica che suonavano. Negli Stati Uniti, l’ondata glam britannica verrà addirittura estremizzata: negli Usa il glam rock divenne puro intrattenimento, esibizionismo ed esagerazione. Insomma, divertimento a tutti i costi.
Il 18 febbraio del 1974 i KISS pubblicarono il loro primo album omonimo ed iniziarono immediatamente il tour di supporto alla vendita del disco. Il secondo album, Hotter Than Hell, nacque proprio nel bel mezzo del suddetto tour, di fretta, perché il mercato era esigente, bisognava produrre se volevi raggiungere il successivo, e soprattutto per il fatto che la Casablanca Records aveva scommesso tutto sui KISS.
Il motto era: “chi si ferma è perduto”. Peter Criss, Ace Frehley, Gene Simmons e Paul Stanley presentarono una svolta hard rock, facendo leva sul caratteristico make-up kabuki e sfruttando performance live infuocate, liberando, di conseguenza, quell’immediatezza ritmica che, invece, la registrazione in studio non riusciva a trasmettere.
Hotter Than Hell è un disco più cupo e pesante rispetto al debut album, registrato così in fretta che i KISS furono costretti a pescare materiale addirittura dal passato; dal periodo in cui Paul e Gene militavano nei Wicked Lester.
Tra gli episodi più brillanti dell’opera troviamo tracce come la opener Got To Choose e Let Me Go Rock N’ Roll, pezzi rock n’ roll vecchio stampo, come se Chuck Berry suonasse in versione glam, la meravigliosa ballad a tinte acide e nostalgiche Goin Blind, la beatlesiana Comin Home, la zeppeliniana Parasite, vagamente somigliante a Immigrant Song, e Watchin You, probabilmente uno dei brani più lungimiranti, intriganti e sottovalutati dell’intera discografia dei KISS, dal quale emergono un riff che sembra provenire direttamente dalla chitarra di Jimi Hendrix e un sound fresco e futuribile, come se fossimo stati catapultati direttamente a metà degli anni 2000 durante un concerto dei Black Keys.
Hotter Than Hell è, dunque, la prova di forza da parte dei KISS, attraverso la quale il collettivo newyorkese mostra i suoi muscoli decisamente hard rock blues, assieme a un carattere arrogante e irriverente, tenendo fede a quella promessa premessa già nel titolo: “Più caldi dell’inferno”.
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