Lamb Of God: recensione di Omens

Lamb Of God

Omens

Nuclear Blast, Epic Records

7 ottobre 2022

genere: groove metal, thrash metal, hardcore metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Voglio fare una premessa. Pur non rivestendo una particolare rilevanza nel mio curriculum musicale, i Lamb Of God, insieme ai Trivium, sono il motivo per cui ho rinnovato la mia fede nel metallo del nuovo millennio, senza chiudermi nella bolla del passato.

Grazie alla potenza dei groove e ad una tecnica sopra la media, Randall Blythe e soci non hanno mai fallito un colpo, facendo propri tutti i capisaldi del genere, reinterpretati in chiave iper-tecnica e unconventional.

Inutile nascondere quanto Omens, decimo lavoro in studio per i Lamb Of God, fosse circondato da un’attesa spasmodica, quella che si conviene a band di questo calibro, proprio perché non è mai facile riproporsi al grande pubblico, soprattutto dopo aver raggiunto l’apice creativo, due anni fa, con la realizzazione del disco omonimo.

Quello fu, a mio modesto parere, “album of the year” del 2020, insieme a Titans Of Creation dei Testament; un capitolo in grado di riassumere in sé nome e opera dei ragazzi di Richmond, oltre ad accendere una certa curiosità intorno alla nuova line-up, dopo la separazione dal batterista e veterano Chris Adler avvenuta tre anni prima.

Oltre a consegnarci un gruppo in forma smagliante, Omens si distingue anche per l’inserimento di elementi eterogenei rispetto alle precedenti uscite: le influenze thrash si fanno più palpabili, c’è un rinnovato gusto per una struttura compositiva più tradizionale, senza tuttavia perdere groove, preservando un’inaudita dose di violenza e quella capacità di tenere sempre alta l’intensità d’esecuzione.

Ciò che più colpisce, come ogni volta che i Lamb Of God escono dallo studio di registrazione, è la raffinatezza degli arrangiamenti: un sontuoso lavoro alla batteria, metronomico e con la doppia cassa sempre in primo piano, delizia palato e timpani attraverso la fluidità e la naturalezza dei cambi di ritmo. Questo background, a supporto di riff sempre penetranti e melodie vocali splendidamente armonizzate, produce un immediato effetto headbanging.

Lungo le dieci tracce di Omens si dipana un groove metal senza compromessi, travolgente e accattivante, che si apre, in Nevermore, a un avvicendamento tra fasi minimaliste e narrative, con accenno di clean vocals e parti tipicamente groove, con sonorità e linee vocali di chiara impronta Pantera (influenza ricorrente durante l’ascolto) e vagamente Sepultura. La successiva Vanishing ci riporta nel classico filone compositivo dei Lamb Of God, con quegli “stop and go” dirompenti che ne fanno già una pietra miliare del genere.

L’organicità dell’album è fuori discussione, ma rischia di giocare a sfavore della varietà dell’offerta sonora: così, i Lamb Of God se la giocano spaziando sulla sei corde, tra accordi e reminiscence cangianti, tra riff letteralmente rubati a Dime Darrell nella demoniaca Ditch (uno dei brani più brutali dell’intera loro discografia) e il palm-muting estremo di Gomorrah, passando dalla slayeriana Grayscale (come se qualsiasi frame di World Painted Blood venisse arricchito da growl e transizioni ritmiche) alle note “thrash and roll” della title-track, fino alle forti e chiare tinte hardcore di Denial Mechanism.

Anche in episodi filler come Ill Designs e To The Grave, qualità e furia non vengono mai meno. Menzione a parte per September Song, closing-track che, finalmente, regala sprazzi atmosferici e barlumi di novità, grazie all’uso discreto ma efficace dei synth, a conferire una sottile e gradevole venatura dark in fase di refrain.

Difficile selezionare quale sia la traccia di punta della release (per quanto Ditch, Grayscale e September Song incontrino i miei gusti fin dal primo ascolto), così com’è impossibile individuare vistosi cali di tensione. I Lamb Of God plasmano un platter che, in più di un’occasione, mi ha riportato alla memoria l’effetto di Reinventing The Steel: duro e compatto come il granito a venti gradi sottozero, forte di una buona produzione, ma probabilmente non adatto a chi ha ancora fame di novità.

Insomma, nulla di nuovo, ma lo scenario è mozzafiato e il clima sempre rovente, all’ombra dell’agnello di Dio.

Tracklist:

1. Nevermore
2. Vanishing
3. To The Grave
4. Ditch
5. Omens
6. Gomorrah
7. Ill Designs
8. Grayscale
9. Denial Mechanism
10. September Song

Membri della band:

Randy Blythe – voce
Mark Morton – chitarra
Willie Adler – chitarra
John Campbell – basso
Arturo “Art” Cruz – batteria

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