Madness At Home: recensione di Shoelace

Madness At Home

Shoelace

Overdub Recordings

14 ottobre 2022

genere: grunge, alternative rock, noise hardcore, sludge

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

A distanza di due anni dalla pubblicazione dell’EP omonimo via Seahorses Recording, la band capitolina Madness At Home manda alle stampe il suo primo full-lenght intitolato Shoelace, edito per Overdub Recordings e anticipato dall’uscita del singolo Waste.

Gli anni Novanta sono stati un decennio prolifico per la musica rock, soprattutto per lo spirito radicale che animava la macro-scena dell’alternative rock anglofono, in ogni sua forma epidermica e declinazione sonora. Così, il power trio romano – composto da Pietro Zaccari alla voce e chitarra, Andrea D.B. Cave al basso e Giulio Calamarà alla batteria – proietta quel sentimento emo-revival, di fattura grunge e hardcore punk, nei buchi esistenziali della società contemporanea, insinuandosi tra gli strati confusionali e contraddittori di un tessuto umanistico sempre più alla deriva dal punto di vista etico.

L’impianto tematico di Shoelace enfatizza il ruolo dei lacci in quanto metafora centrale per raccontare le nostre crisi quotidiane, sia individuali sia nei rapporti interpersonali: lacci come collanti oscuri che uniscono, ma che, al tempo stesso, possono strangolare, fino a soffocare in un grido d’aiuto interiore. Lacci che stringono conscio e inconscio, realtà e finzione, presente e passato, come catene che fanno parte di noi, che definiscono ciò che siamo ed esistono perché siamo stati noi ad averle create.

Attraverso le nove tracce di Shoelace, i Madness At Home provano a risvegliare correnti inquiete della memoria, a riaccendere certe sensazioni che oggi sembrano stanche e anacronistiche, eppure così attuali; come una brace apparentemente spenta che però è sempre lì, in attesa che qualcuno soffi su di essa per rinvigorirne la fiamma, come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri, come il dracula della Transilvania che non muore mai, a meno che non gli piantino un paletto nel cuore.

Sotto l’aspetto strumentale, quasi a volersi isolare dalle connessioni algoritmiche e dal music trend del presente, i Madness At Home si lasciano risucchiare in quella nobile vertigine retromaniaca che affonda la sua ispirazione calligrafica nell’intersezione stilistica tra influenze del vecchio mondo: dalle abrasioni metalliche e scarnificate del post-hardcore alle ritmiche slabbrate del noise, dal rumore distorsivo, morboso e psichedelico dello shoegaze al pantano oscuro, melmoso e claustrofobico dello sludge, passando per le atmosfere narcotizzanti e acide del post-rock, fino a sublimarsi nell’impeto melodic-hard della corrente grunge.

Il tutto legato a una pasta timbrica indirizzata sul binario bipolare del clean & scream, rievocando – anche troppo – il Kurt Cobain di Bleach, quando con l’ipnotica apatia di quel lamento moribondo, meccanico e indolente, quando con rabbia corrosiva, lacerante e straziante rivestita con fogli di carta vetrata, ripetendo quello schema litanico fino allo stremo, fino a diventare abitudine e poi rassegnazione, trasformando quel conseguente senso di nausea in catarsi.

facebook/MadnessAtHome

Membri della band:

Pietro Zaccari alla voce e chitarra, Andrea D.B. Cave al basso e Giulio Calamarà alla batteria

Tracklist:

1. Blue Dye Suicide

2. Waste

3. Wet Room

4. Bench

5. Cathartic Fabric

6. Celluloid Hill

7. Grillo

8. Sane

9. Pater, Mater

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