Mclusky: recensione di The World Is Still Here And So We Are

Mclusky

The World Is Still Here And So We Are

Ipecac Recordings

9 maggio 2025

genere: hardcore punk, post-hardcore, noise rock, post-punk

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

Il mondo è ancora qui e così anche noi. A distanza di ben ventuno anni dal loro scioglimento e con tre dischi pubblicati nei primi anni Duemila, i gallesi Mclusky tornano in scena e ritrovano il mondo dove e come l’avevano lasciato. Anzi, decisamente peggiorato. Il trio di Cardiff rientra in pista con il nuovo album intitolato The World Is Still Here and So We Are, edito per Ipecac Recordings e anticipato dall’uscita dei singoli Way Of The Exploding Dickhead e Unpopular Parts Of A Pig.

Un lavoro che odora di sana nostalgia e rinnovata passione. Nonostante l’assenza ventennale, i Mclusky sono rimasti più o meno fedeli al loro sound, tanto anacronistico quanto vivo, pungente e incazzato, ma senza prendersi mai troppo sul serio, come dimostrano testi e videoclip apparentemente nonsense e intrisi di dissacrante ironia.

Le tredici canzoni di The World Is Still Here and So We Are, dall’impatto diretto, ruvido, compatto, ed espresse nella solita modalità distorta noise-rock e post-hardcore, attraversano il grottesco e il brutale umanistico della contemporaneità, muovendosi tra black humor e surrealismo, critica sociale e riflessioni amare, refrain accattivanti e chiasso livido, pur senza rinunciare a una certa inflessione melodica.

Sappiamo che ogni musica ha il suo tempo e che certe esigenze di mercato, al pari degli appetiti dei consumatori, cambiano umore repentinamente. E soprattutto che “niente dura per sempre”, come cantava Capovilla. Con l’avvento del nuovo millennio, la musica rock, in ogni sua forma e contaminazione, non è stata più in grado di lasciare un segno importante.

Quindi, per tutta una serie di motivi contingenti, il rock si è trasformato in un genere underground, fuori moda per i giovani di oggi. Sono cambiati i gusti, la società e la cultura di massa è diventata sempre più sovraesposta, iperconnessa e di conseguenza sottomessa all’egemonia di internet, dei contenuti scelti dalle piattaforme streaming.

Così, oggigiorno, l’unica fonte di sopravvivenza per i vecchi fan del “rock e derivati”, intrappolati nella loro bolla spaziotempo fatta di nostalgia e ricordi, è rappresentata dalle reunion dei gruppi storici. E poco importa se si tratta di gruppi mainstream, alternative oppure dei cosplayer di se stessi. Insomma, in questi anni difficili, dove ogni cosa torna indietro come un reflusso di retromania e revival al gusto di pesto alla genovese, una reunion non si nega a nessuno, nemmeno a chi aveva lasciato il discorso a metà due decenni fa.

Sotto l’aspetto tematico, il tridente gallese – composto da Andrew Falkous, Jack Egglestone e la new entry Damien Sayell – prende di mira le logiche di convenienza che alimentano l’industria discografica, la religione come bisogno disperato di credere in qualcosa (“faith is admission that we just can’t win”), l’ambizione scorretta e aggressiva, ma soprattutto l’indifferenza comune di fronte alle ingiustizie sociali (“the worst thing about people is people”) e alla spettacolarizzazione del dolore, evidenziando l’ipocrisia di quelle figure politiche che si attivano soltanto dopo una tragedia (“exploding kids can kill the mood, can kill the mood if kid explosions aren’t your heart’s desire […] a lot of people like to be wise after the event”).

L’intero album è una vera e propria dichiarazione d’intenti: melodie angolari e taglienti, chitarre caustiche, ritmi serrati e ossessivi. Ci sono dentro le sferragliate metalliche e acufeniche di Jesus Lizard e Shellac (Unpopular Parts Of A Pig), il post-punk sbilenco dei Pere Ubu (The Competent Horse Thief) e le abrasive dissonanze noise-folk alla Primus, passando per il nevrotico ska-punk clashiano di Cops And Poppers e l’incedere pachidermico e marziale di People Person e The Battle Of Los Angelsea.

L’assalto sonico prosegue con il groove boombastico di Chekhov’s Guns e le rabbiose spintonate hardcore-punk di Kafka-esque Novelist Franz Kafka e Juan Party-system, per poi stemperarsi nel folk allucinato e sciamanico di Not All Steeplejacks e nel doom-blues lancinante di The Digger You Deep.

The World Is Still Here and So We Are dimostra dunque che i Mclusky, combinando lucido cinismo e sarcasmo corrosivo, sono ancora una voce rilevante nel panorama musicale dell’attualità. Ed è proprio nello schifo etico dell’oggi, e nel concetto alienante di normalità, che i Mclusky ci sguazzano come maiali nel fango, sempre pronti a randellare e percuotere le assurdità del nostro vivere quotidiano.

Tracklist:

1. unpopular parts of a pig 2. cops and coppers 3. way of the exploding dickhead 4. the battle of los angelsea 5. people person 6. the competent horse thief 7. kafka-esque novelist franz kafka 8. the digger you deep 9. autofocus on the prime directive 10. not all steeplejacks 11. chekhov’s guns 12. juan party-system 13. hate the polis

Membri della band:

Andy “Falco” Falkous alla voce e chitarra, Jack Egglestone alla batteria, Damien Sayell al basso e voce.

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