Metal Church: recensione di Congregation of Annihilation

Metal Church

Congregation of Annihilation

Rat Pak Records

26 maggio 2023

genere: thrash metal, power metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Quando una band storica, rinnovatasi cento volte negli anni, decide di tornare in studio, l’esigentissimo pubblico dei metalheads l’aspetta al varco, proprio lì, appena dietro le pareti insonorizzate. Se poi quella band ha il coraggio di proporre un sound che rimanda in modo vibrante alla golden age di un genere che nel tempo si è modificato, allora la dolce nostalgia, quanto il piccato modernismo, sono in agguato.

Ma, nella qualità della musica, qualcosa di oggettivo c’è: bisogna partire da lì e io voglio restare sul pezzo elencando fatti, non opinioni. Premessa più che doverosa visto che i Metal Church hanno da poco pubblicato la loro tredicesima opera intitolata Congregation of Annihilation, rilasciata praticamente in concomitanza con l’ennesimo lutto, a causa della dipartita dell’ex batterista Kirk Arrington.

Invece no, con coraggio ma cognizione di causa voglio affermare che Congregation of Annihilation, finora, è l’album dell’anno. Scioglierei ogni riserva, se non fosse appena giugno e non avessi almeno altri dieci promettenti platter in attesa di unboxing. E no, non si tratta di una opinione, ma di un dato di fatto che andrò ora a suffragare elencando le motivazioni della sentenza.

1 Perché l’esordio di Lopes alla voce è semplicemente superbo e calato in modo talmente perfetto nel mood della band da sembrare ci sia sempre stato. Estensione notevole e naturalezza nel passare dal semi-scream all’acuto ne fanno l’ideale interprete e il volano emotivo.

2 Perché la chitarra di Van Zandt ricama classe e, creando un perfetto incastro con una sessione ritmica mai banale (onore in particolare al deus ex machina Vanderhoof, artefice anche del mixaggio), conferisce ai brani una raffinatezza d’altri tempi: davvero difficile, nel terzo millennio, ascoltare assoli così ben armonizzati con il corpo di ogni singola pièce.

3 Perché, seppur si potrebbe sentire l’assenza del singolo che passa alla storia, ce ne sono, in verità, almeno cinque che ascolterei in loop. Di questi tempi, non è poco.

4 Perché ho ascoltato tanti dischi finora, sia di band emergenti che mi hanno colpito, sia di vecchie glorie che non mi hanno deluso, in certi casi mi hanno pure esaltato, ma i Metal Church, a tratti, mi hanno toccato il cuore. Sono sicuro (non ve lo propongo: ne sono sicuro!) che lo stesso effetto farebbe a voi se deste a questo disco una chance.

5 Perché tutto è al posto giusto e rema nella stessa direzione, ivi compresa una produzione che più vintage, ma più perfetta e definita non potrebbe suonare.

6 Perché questo lavoro ha una peculiarità, a modo suo, unica: sa generare atmosfere senza mai, e dico mai, lasciarsi andare ad una ricerca melodica nel senso stretto del termine.

Che faccio, continuo? Potrei, perché stiamo parlando di un album che, qui e ora, senza riesumare i fasti degli esordi, rasenta la perfezione (depurato da un paio di passaggi, la potrebbe persino raggiungere) sotto ogni punto di vista (fin dalla cover), che non contiene veri e propri filler e che sa catturare l’attenzione in qualunque momento non consentendo distrazioni. Congregation of Annihilation mi sbatte contro il muro e mi trascina in un viaggio a ritroso nel tempo, evocando il mio passato senza darmi mai la sensazione di deja-vu, suscitando sì nostalgia, ma rivestendola del proprio stile.

La opening track Another Judgment Day, per esempio, è il paradigma del brano che ascolterei ogni giorno senza mai stufarmi: una cavalcata che è esattamente ciò che Mustaine avrebbe potuto e dovuto regalarmi, ad esempio, al posto di Risk.

Con la title track si cambia registro e ci viene proposto un palm muting con riff modernissimo, struttura vocale à la Pantera e un solo di puro power metal: come inizio, davvero l’impatto che ci voleva. Il power-thrash di Pick a God and Prey, se possibile, alza ulteriormente il tiro, con una ritmica spaccaossa e arrangiamenti sopraffini. Poi, al momento giusto, lo scenario cambia e Children of The Lie ci sollecita dolci ricordi tra chiare influenze NWOBHM e un lungo outro strumentale con deliziosi rimandi al rock seventies: in pratica, le radici della band.

Me the Nothing sembra un incontro tra Dio e King Diamond, con un intrigante ritmo e una prova canora fuori dal comune, ma subito dopo l’atipica Making Monsters è, forse, il brano meno lineare e coinvolgente dell’opera: un omaggio alle sonorità hard & heavy (se vogliamo anche originale per struttura, ma un po’ piatto) il cui giro di basso, da solo, non riesce a risollevarne le sorti.

Fortunatamente si tratta solo di una parentesi, perché la seconda parte del disco ci riserva due capolavori di nostalgia come Say a Prayer With 7 Bullets, thrash & roll dal riff rockeggiante e dalla ritmica rubata a Rust in Peace, e These Violent Thrills, che non sfigurerebbe come bonus track in Kill’em All. Il rock & roll puro e muscolare di All That We Destroy scuote forte e avrebbe meritato un ritornello più riuscito: forse l’unico cedimento armonico dell’intero album.

La chiusura viene riservata (almeno sul format del mio CD) a My Favorite Sin, il riscatto della vena rock della band, una cascata di Thin Lizzy innaffiata di Helloween, che ti ritrovi a ballare in casa, di nascosto. Irresistibile ed evocativa, quando sfuma ti fa dire “ma no, è già finita?!”.

La terra sia lieve a Mike Howe e al buon Arrington, perché è consacrata all’ombra della chiesa del metal: la congregazione annichilisce ancora, eccome!

Tracklist:

1. Another Judgement Day

2. Congregation of Annihilation

3. Pick a God and Prey

4. Children of The Lie

5. Me The Nothing

6. Making Monsters

7. Say a Prayer With 7 Bullets

8. These Violent Thrills

9. All That We Destroy

10. My Favorite Sin

Membri della band:

Marc Lopes – vocals, Rick Van Zandt – lead guitar, Kurdt Vanderhoof – rhythm guitar, Steve Unger – bass, Stet Howland – drums

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