Ozzy Osbourne: recensione di Ordinary Man

Ozzy Osbourne

Ordinary Man

21 febbraio 2020

Epic Records

genere: hard rock, heavy metal

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

Da Iron Man a Ordinary Man.

Nell’anno in cui il debut album omonimo dei Black Sabbath festeggia il suo cinquantesimo anniversario, l’immortale John Michael Osbourne, meglio noto come Ozzy Osbourne, pubblica il suo dodicesimo disco solista dal titolo Ordinary Man, anticipato dall’uscita dei singoli Under the Graveyard, Straight to Hell e Ordinary Man feat. Elton John e Slash.

Registrato a Los Angeles con il produttore Andrew Watt alla chitarra, Duff McKagan al basso e Chad Smith alla batteria, Ordinary Man è stato rilasciato il 21 febbraio per Epic Records.

Tanti i soprannomi per Ozzy durante la sua carriera oramai cinquantennale: Padrino dell’heavy metal, Principe delle tenebre, Madman del rock, e chi più ne ha più ne metta. Ozzy Osbourne è una delle figure più controverse della storia della musica.

Dal 1970 ad oggi, in tutta la sua carriera, Ozzy Osbourne non ha sbagliato un colpo: ha azzeccato la scelta dei membri della sua band, circondandosi sempre di bravissimi musicisti. Ed anche stavolta non è stato da meno, visti i nomi illustri che hanno collaborato alla stesura di Ordinary Man: Elton John, Slash, Duff McKagan, Tom Morello, Chad Smith e addirittura due rapper di fama internazionale come Post Malone e Travis Scott, nelle due tracce It’s a Raid e Take What You Want.

Immaginate la sorpresa e le bocche storte dei vecchi fan conservatori. Che oltraggio: contaminazioni rap in un disco di Ozzy Osbourne. Eppure il crossover esisteva già alla fine degli anni Ottanta.

Ordinary Man è, dunque, il perfetto riassunto della vita artistica e privata di Ozzy Osbourne, ed il testo della titletrack (cantato in duetto con Elton John, “The Rocket Man”, altro mostro sacro della musica rock pop mondiale) ne è la massima espressione: “Non ero preparato per la fama”, dichiara già nell’incipit di questa ballad a tinte beatlesiane.

“Non voglio morire come un uomo qualunque”. Verosimilmente, questo è il verso più significativo dell’intero disco. Effettivamente, Ozzy Osbourne non è mai stato “un uomo qualunque”. Sfido chiunque ad affermare il contrario. Nessuno al mondo sa come faccia ad essere ancora vivo, probabilmente è un mistero anche per lo stesso Ozzy.

“Hanno provato ad uccidere il mio rock and roll”. Eccolo, ancora qui a ricordarci il suo amore incondizionato nei confronti della sua arte e, di riflesso, verso tutti noi.

“Today is the End”. Che sia proprio Ordinary Man il testamento biologico della sua discografia? Ma poi si contraddice dicendo: I don’t wanna say goodbye. Ozzy vorrebbe congedarsi dal suo pubblico, e dalla sua longeva carriera artistica, tenendoci per mano e rassicurandoci che andrà tutto bene e che staremo bene, comunque vada.

Andrà tutto bene, nonostante il morbo di Parkinson che ora lo sta divorando, come sembra anticiparci l’araba fenice del rock nel brano Eat Me, con quell’intro di armonica, quasi ad omaggiare The Wizard ed il suo passato nei Sabbath.

Proveniente dalla grigia realtà operaia e post industriale di Birmingham, il cantante britannico, da uomo qualunque è diventato un’icona vivente della musica rock ribelle e dannata, grazie al modus sarcastico, autodistruttivo ed autoironico con cui ha continuato a raccontare se stesso ed il fallimento della società del progresso.

Ozzy Osbourne, sin dai tempi dei Black Sabbath, è stato il portavoce di tutte quelle personalità complesse, fortemente disturbate, profondamente insicure, perseguitate dai fantasmi del passato e perdute nei labirinti delle droghe e della solitudine, rischiando più volte di ritrovarsi Under the Graveyard, ma che alla fine, in qualche maniera, hanno trovato il modo di rialzarsi e rinascere dalle proprie ceneri.

Il rock di Ozzy Osbourne è quasi sempre una metafora culturale involontaria, decodificata mediante la sua impotenza e la sua rabbia repressa. E non importa quante teste di pipistrello è riuscito a staccare, in quanti posti importanti ha pisciato, quante formiche è riuscito a sniffare. Nonostante quella maschera di ferro, c’è sempre stata una vulnerabile dolcezza percepibile in tutta la sua musica, fino a diventare, paradossalmente, un punto di forza nelle sue canzoni.

Insomma, “un uomo qualunque” che cammina sulle acque, come quello raffigurato nella copertina di Ordinary Man, non sarà mai un uomo ordinario. Un antieroe dichiarato, che non ha mai nascosto le sue ossessive debolezze e fragilità. L’Ozzy di Ordinary Man, invece, ci appare diverso, quantomeno nel suo modo di intendere il presente. Per la prima volta, all’età di 71 anni, sembra aver sotterrato le sue paure (meglio tardi che mai), quasi in maniera rassegnata, ma nell’accezione positiva e liberatoria del termine, in tutta la sua catarsi.

Tuttavia, ciò che rimane intatto, e indelebile, è il suo timbro vocale che, seppur corroso dagli abusi e dal tempo, trasmette ancora la stessa tristezza poetica. Un sentimento di cui avremo sempre memoria, anche “quando i colori svaniranno, le luci si spegneranno e quel palco rimarrà vuoto“.

Tracklist:

1. Straight to Hell

2. All My Life

3. Ordinary Man

4. Under the Graveyard

5. Eat Me

6. Today is the End

8. Scary Little Green Men

9. Holy for Tonight

10. It’s a Raid

11. Take What You Want

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