R.E.M. : recensione di Monster

R.E.M.

Monster

Warner Bros Records

27 settembre 1994

genere: grunge, fuzz, garage, alternative rock, noise

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

Era il 1994. Con la morte di Kurt Cobain, uomo simbolo della scena di Seattle, il fenomeno grunge, tramutato in moda, andò via via spegnendosi, come la fine naturale di un ciclo.

Il 1994 fu un anno molto prolifico dal punto di vista della produzione musicale, sia per quantità che per qualità, ed in generale ricco di eventi e trasformazioni socioculturali significative e determinanti. La società moderna si stava aprendo senza riserve al mondo delle macchine e dei software, diventando sempre più condizionata e dipendente dalla tecnologia e dai suoi processi di automatizzazione.

In quel nuovo orizzonte multimediale, smaltite le atmosfere “allegre” di Automatic For The People del 1992, il 27 settembre del 1994 i R.E.M. pubblicano Monster, un lavoro discografico con un sound totalmente differente da quell’alternative folk rock dalle contaminazioni country, new wave e garage a cui ci avevano abituato e che aveva contraddistinto il trademark compositivo della band di Athens per oltre un decennio.

Automatic For The People potrebbe essere ribattezzato anche “Automatic For The Pop”, visto che fu il disco che portò definitivamente i R.E.M. all’apice della popolarità mainstream, sebbene i testi scritti da Michael Stipe, salvo qualche eccezione, non siano mai così facilmente decifrabili e alla portata di tutti, ma piuttosto introspettivi ed ermetici.

In quel momento storico, parecchi gruppi e case discografiche avevano capito che avrebbero dovuto cavalcare l’onda musicale statunitense (mentre in Europa esplodeva il revival del rock britannico anni ’60), che, però, da lì a breve tempo, avrebbe esaurito la sua spinta creativa ed emotiva.

Pare che Kurt Cobain stesse ascoltando proprio Automatic For The People quando si tolse la vita. E dunque, quale miglior modo per omaggiare la memoria dell’amico Kurt se non quello di realizzare un disco dalle sonorità grunge?

I R.E.M. realizzarono, di fatto, il loro disco grunge. Mostruoso, come gli effetti della chitarra di Peter Buck, con un impatto potente e destabilizzante sui fan di vecchia data, abituati ai toni rock più classici e soft dei dischi precedenti e che si trovarono invece di fronte ad un album di “rock noise sperimentale”.

Monster si apre con il singolo orecchiabile What’s the Frequency Kenneth?, con quel breve riff di chitarra iniziale che sembra omaggiare Baba O’Reily dei The Who, mentre Michael Stipe se la prende con il mondo della comunicazione, dell’informazione, sempre più impegnato ad analizzare e criticare superficialmente, senza la volontà di capire.

Crush With Eyeliner continua sulla falsa riga del rock noise, non a caso questo brano vede la collaborazione di Thurston Moore dei Sonic Youth, uno dei massimi esponenti di quel filone musicale statunitense degli anni ’80. King of Comedy è, invece, un pezzo quasi new wave, come se un robot con la voce di David Bowie cantasse su una base elettrodance dei francesi Air.

I Don’t Sleep I Dream è un brano morfinoso ed ipnotico, una sorta di fusione tra Talking Heads e Peter Gabriel, in cui Michael Stipe modula la sua voce tra tonalità basse e falsetto. Star 69 è un pezzo veloce, dal ritmo quasi punkettaro e decisamente allegro, che riprende la cifra stilistica degli Sugar del vecchio e caro zio Bob Mould.

Strange Currencies è la ballad che non può assolutamente mancare. Sebbene ripercorra le orme melense della già famosa Everybody Hurts. Questa struggente rock ballad è dedicata al giovane attore scomparso nel 1993 per overdose di eroina e cocaina, River Phoenix. Michael Stipe dedicherà un altro commovente brano al suo grande amico River, due anni dopo, dal titolo E-Bow the Letter, in duetto con Patti Smith.

Tongue è un lentone sensuale, quasi tutto pianoforte, che spezza un po’ la tensione sonora delle tracce precedenti: è un po’ il sorbetto tra lato A e lato B, in cui Michael Stipe canta prettamente in falsetto alla Prince, mentre Bang and Blame può essere considerata una versione elettrica e psichedelica di Losing My Religion.

Arriviamo alla canzone I Took Your Name, probabilmente uno dei migliori episodi di quest’opera: con le sue atmosfere inquietanti e quel piglio sfrontato a metà tra punk e glam, potrebbe essere scambiato tranquillamente per un vecchio brano di Iggy Pop. Let Me In è, invece, la dedica di Stipe all’amico scomparso Kurt Cobain; un epitaffio distorto, drammatico e struggente.

Circus Envy è un altro tassello veramente pesante e rumoroso di Monster, sulla falsa riga degli Stone Temple Pilots di Scott Weiland, in cui gli amplificatori sembrano letteralmente friggere.

La “mostruosità sonora” di questo disco si conclude con i titoli di coda dell’ossessiva You, che, a mio modesto vedere, è l’unico pezzo davvero simile alle sonorità dei Nirvana.

Dunque, riepilogando, cosa ci rimane dopo aver ascoltato un disco come Monster? Senz’altro, i riff duri, distorti e orecchiabili di Buck, la voce camaleontica di Stipe, le atmosfere surreali alla David Lynch ed un significativo restyling di quel sound che ha portato i R.E.M. ad essere uno dei gruppi rock più popolari del pianeta.

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