Rise Above Dead: recensione di ULRO

Rise Above Dead

ULRO

Moment of Collapse & Shove Records

31 luglio 2020

genere: post-metal, doom metal, sludge metal

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Recensione a cura di Marco Milo

Immaginare la visionaria arte poetica e pittorica di William Blake trasposta in musica è roba da progressive rock anni ’60 e’ ‘70: Yes, Genesis e la scena di Canterbury per intenderci. Ma non è da escludere che lo stesso percorso venga intrapreso anche da un’audace band post-metal milanese, che decide di concepire il setting della sua ultima release proprio a partire all’universo mitopoetico del poeta inglese.

Per darvi qualche riferimento più preciso, si parla dei Rise Above Dead e del loro album intitolato ULRO, in uscita il prossimo 31 luglio per la Moment of Collapse & Shove Records in edizione limitata vinile da 12”.

Questo terzo lavoro è il frutto di un particolare periodo di cambiamento e assestamento, in cui i RAD vedono la loro formazione perdere prima il cantante e poi il chitarrista-fondatore. Tuttavia, mentre sul comparto chitarre “chiodo schiaccia chiodo” con l’ingresso di Andrea Pesapane (già nei Lappeso), per la parte voce il gruppo decide di fare di necessità virtù e di convertirsi in una formazione strumentale.

Ma cosa significa Ulro? Senza il bisogno di rispolverare il Bignami di letteratura inglese, basterà sapere che nella visionaria mitologia di Blake Ulro è il nome del mondo retto dal dio Urizen, che rappresenta la più bieca e cieca razionalità in opposizione alla passione e all’estro creativo. Questo mondo, che è il riflesso del suo reggente, è quindi oscuro e opprimente, e non lascia spazio alla libertà individuale.

É la terra dei cosiddetti “morti viventi” e altro non è che la nostra contemporaneità. Questo senso di claustrofobia e triste mediocrità viene metabolizzato e convertito perfettamente nelle note dell’album, che si impossessa delle melodie pastose e cadenzate delle chitarre post-metal per restituire un’atmosfera che incombe cupa, sempre asfissiante, e che diventa quasi irrespirabile quando è il suono tellurico e limaccioso del basso stile doom o sludge a disturbare la nostra quiete.

Con il brano d’apertura, A Vision Of The Earth (altamente cinematografico), siamo sbalzati in una dimensione fantascientifica post-apocalittica, in cui ci ritroviamo ad essere gli unici esseri viventi, pensanti e passionali, ormai rimasti. Il fruscio che fa da intro, accompagnato dall’eco del synth, scorre sotto l’inquadratura della distesa desertica e sconfinata in cui vaghiamo senza sosta; poi l’attacco in medias res delle chitarre, con accordi ruvidi ma travolgenti come vento di bufera, che si apre sull’inospitale realtà che ci si para davanti gli occhi.

Ci addentriamo ulteriormente alla scoperta di questo spento pianeta prima con Hardship Of Joy, roboante e
incalzante col suo possente giro di chitarre heavy, e poi con The Divert Of Perceptions, turbinoso e angosciante viaggio nel subconscio dilaniato dal conflitto tra estro e ragione, e caratterizzato da un crescendo melodico e ritmico che pare inarrestabile.

Segue Dreams Of Leutha, pezzo dall’anima bifronte, che parte cantilenante e ipnotico, come l’inizio di un sogno lucido in cui cerchiamo di orientarci, e che si tramuta però, attraverso gli accordi thrash metal della
seconda metà, in un labirintico e frenetico incubo da cui è impossibile uscire.

Infine, simile nell’andamento rispetto alla precedente sono At The Edge Of Beulah, di cui rimarchiamo lo
stupendo lavoro di ricerca e creazione della fatness di quel maledetto basso in apertura, e la conclusiva The Endless Strife, dai toni però generalmente meno bui e nichilisti rispetto al resto dell’LP.

Quest’ultimo, infatti, è forse l’unico pezzo dell’intero lavoro che lascia trasparire una vena di malinconica speranza. Che la fine del disco coincida con la conquista della libertà e l’uscita salvifica da questo universo ingiusto e soffocante? L’interpretazione rimane aperta.

Venendo al dunque, questo terzo album dei Rise Above Dead è ben eseguito, in linea con i parametri del genere e capace di non far sentire la mancanza dell’apparato vocale, grazie allo spazio concesso nei brani sia al basso che alla batteria. Un lavoro espressivo, dotato di una grande forza scenografica e in grado di rendere giustizia (con i dovuti distingui) all’opera poetica di William Blake da cui prende spunto.

Ulro è il tentativo di emancipazione e affermazione creativa intrapreso dalla band milanese per emergere e distinguersi nel mediocre Ulro in cui oggi viviamo.

Membri della band:

Matteo Sala – Chitarra

Andrea Pesapane – Chitarra

Diego Leone – Basso

Luca Riommi – Batteria

Tracklist:

1. A Vision Of The Earth

2. Hardship Of Joy

3. At The Edge Of Beulah

4. The Divert Of Perceptions

5. Dreams Of Leutha

6. The Endless Strife

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