Saxon: recensione di Hell, Fire and Damnation

Saxon

Hell, Fire and Damnation

Silver Lining Music

19 gennaio 2024

genere: heavy metal, power metal, hard ock, NWOBHM

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Questo non sarà un omaggio deferente. È vero, non c’è metalhead over 50 che non ami almeno qualcuno dei ventitré album già mandati agli archivi dai Saxon, e io non faccio eccezione, innamorato come sono più della seconda era, quella da Metalhead a Thunderbolt, la più dura e articolata.

Dopo la modestia del precedente Carpe Diem, pubblicato due anni fa, il nuovo album Hell, Fire and Damnation non riceverà trattamenti di favore. Anzi, ho deciso di dare lo stop all’ascolto dei singoli, imponendomi di aspettare l’intera release: rispetto, sì, ma obiettività prima di tutto. Inoltre, mi sono ripromesso di concedermi un primo giro sul piatto di pura emozione, senza alcuna analisi: solo di pancia e di pelle.

A conti fatti, è stata la scelta giusta: good vibes durante l’intero ascolto (o quasi), sapori forti quanto basta da evocare antichi ricordi ed emozioni intramontabili. Un soddisfacente songwriting, un riffing semplice ma non banale, assoli ben confezionati e arrangiati – con la nuova ascia Brian Tatler (ex Diamond Head) che riesce a non far rimpiangere Paul Quinn – una ritmica corposa e assortita, con intriganti passaggi in doppio pedale che danno la giusta sgasata quando occorre, soprattutto quando il viaggio rischia di divenire monotono.

Nel complesso, sia pure senza picchi straccia-vesti, non emerge mai quella fastidiosa sensazione di stantio che in Carpe Diem mi aveva lasciato tanto amaro in bocca. Ora, prima di iniziare, dobbiamo intenderci bene, visto che tutto dipende da aspettative e disposizione d’animo: se siete in cerca della folgorazione di Wheels Of Steel, o della rocciosità di Metalhead, vi conviene riascoltare quelle cose lì. Biff ha appena compiuto 73 anni e sarebbe ingeneroso chiedergli di rinnovarsi e sorprendere.

Occorre solo aprire il cuore, abbracciare madama nostalgia e pregustare della buona musica: vi assicuro che, così facendo, vi aspettano quasi tre quarti d’ora di goduria. Godibile, dopo il secondo e il terzo ascolto, è infatti il primo aggettivo che matura in me. Godibile dall’inizio alla fine, senza gridare al miracolo, ma scuotendomi testa e muscoli a dovere, con un paio di brani che mi hanno letteralmente emozionato e senza disarmanti cali di tensione.

Detto della cover perfetta, apocalittica e d’impatto, occorre anche spendere due parole sui contenuti dei testi: Hell, Fire and Damnation non si può definire un concept in senso stretto, ma un album a tema, un libro ad episodi che ripercorre l’eterno conflitto fra il bene e il male, attraverso lo spunto di fatti storici in cui spesso le due forze si mascherano e si confondono, arricchendo il romanzo di sfumature. Da questo punto di vista, pur con qualche cedimento, soprattutto nei ritornelli, Biff si è superato.

Ecco allora il senso di The Prophecy, intro del libro che andremo a sfogliare, subito seguita dal singolo che da il nome all’album, dal riff granitico e con un refrain dal gusto retrò. Forse non il frame migliore, ma quello che più ci dà un’idea di ciò che ci aspetta, oltre a fungere da primo capitolo dell’opera.

Madame Guillotine è subito il mio pezzo preferito, e sono ancora qui, dopo una decina di ascolti, a domandarmi come un così banale due quarti e una così semplice scala eseguita sulla sei corde riescano a funzionare tanto bene da aver assunto il pieno controllo di ogni mio neurone.

Ormai prossimo alla commozione, queste vecchie volpi capiscono che è giunto il momento di ingranare la sesta e spararmi nelle orecchie un mix di Motorhead e NWOBHM: se fosse stata scritta nei primi anni 80, Fire and Steel avrebbe fatto saltare sulla sedia qualunque metallaro.

Scaliamo la marcia con There’s Something in Roswell, dove atterra una scia di fuoco dallo spazio e un sentore tutt’altro che sgradevole di AC/DC al punto da aspettarmi, nel ritornello, la voce stridula di Brian Johnson a far capolino da un momento all’altro. Ci pensano il riff portante e l’accordatura a ricordarmi che questi sono pur sempre i Saxon, e cavoli se mi stanno facendo divertire.

Kubla Khan and The Merchant of Venice è ancora un bell’up-tempo con un ritornello che rimanda agli ultimi Dokken, ma con il più bel bridge della release, quindi gli perdono tutto. Dopo aver tirato il fiato con il compitino hard rock di Pirates Of The Airwaves, si scalpita di nuovo con 1066. La storia sassone torna alla carica e il quintetto britannico sfodera nuovamente l’arma di fiducia: semplicità a presa rapida, con un giro di basso eccitante e cupo al punto giusto e un mid-tempo epico quanto basta per trapanarmi le tempie e fissare il mio secondo episodio preferito.

Witches Of Salem appesantisce un po’ lo scorrere fin qui fluido del platter con uno slow quasi swingato le cui sorti sono affidate ad un interessante assolo eseguito in scala blues. Però, capisco che la tracklist è ben costruita quando esplode negli auricolari Super Charger, che con un ritmo incalzante e un bel riff à la Judas Priest riesce a salire sul mio podio personale e a farmi chiudere col sorriso.

In conclusione, Hell Fire and Damnation è a tutti gli effetti un lavoro onesto, sincero ed emozionante: cosa diavolo si può chiedere di più ai Saxon dopo 45 anni di storia? Il 6 aprile renderò personalmente onore, a Milano, a questi decani del metallo “denim and leather” che mi hanno inciso la fede nella carne con il loro ferro rovente. E chissà che, fra due anni, non tornino a stupirmi ancora.

Titletrack:

1. THE PROPHECY 2. HELL, FIRE AND DAMNATION 3. MADAME GUILLOTINE
4. FIRE AND STEEL 5. THERE’S SOMETHING IN ROSWELL 6. KUBLA KHAN AND THE MERCHANT OF VENICE 7 PIRATES OF THE AIRWAVES 8. 1066 9. WITCHES OF SALEM 10. SUPER CHARGER

Membri della band:

Biff Byford: vocals, bass – Nigel Glockler: drums – Nibbs Carter: bass – Doug Scarratt: guitars – Brian Tatler: guitars

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