Skeletal Remains
Fragments Of The Ageless
Century Media Records
8 marzo 2024
genere: death-metal, groove-death, technical-death, melodic death-metal
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Recensione a cura Marco Calvarese
Continuità e rinnovamento. Cambiare pelle restando immutati dentro. Dotarsi di ali demoniache e ribellarsi al destino portando la propria rabbia, dal profondo degli abissi, su fino alle vette inaudite. Questo è il segreto di qualunque disco metal ambizioso.
Se c’è una band con un progetto preciso su come raggiungere i propri obiettivi, quella sono gli Skeletal Remains. Non a caso ho lasciato che il loro quinto full-lenght, Fragments Of The Ageless, maturasse nelle mie casse e dentro di me per mesi prima di provare a raccontarlo. L’ho tenuto in serbo per momenti migliori, lasciando decantare entusiasmi e depressioni. Volevo essere sicuro che le sensazioni ricevute al primo ascolto, a marzo, trovassero conferma successivamente, nella mia piena immersione.
Si, perché gli stati d’animo possono alterare i giudizi, ma anche le altissime aspettative rischiano di giocare un brutto scherzo: il precedente album, The Entombement Of Chaos, era già un (capo)lavoro di potenza ed esprimeva un sound solido e strutturato. Ora il percorso evolutivo degli Skeletal Remains non si poteva (visti i continui cambi di line-up), né doveva assolutamente fermare: occorreva fare un ulteriore passo verso la devastazione dell’ascoltatore, senza perdere il proprio marchio di fabbrica.
Con Fragments Of The Ageless, a mio avviso, la combo californiana trova la chiave della consacrazione, implementando la componente catchy, senza scalfire il proprio sound distruttivo, ma arricchendolo di generose iniezioni di blast e groove. Sentori di questo sviluppo erano già evidenti, ma oggi ci accorgiamo che gli Skeletal Remains sanno come sviluppare le loro idee: stressando il concetto con una perizia tecnica invidiabile.
Trovo che gli Skeletal Remains abbiano trovato il proprio filone aureo con l’ingresso del chitarrista Mike De La O, il quale conferisce, in modo particolare grazie ai frequenti assoli, una venatura classica all’album che ci sta veramente a palla, anche perché splendidamente armonizzata nei brani. Nonostante il frontman Chris Monroy sia l’unico superstite della line-up originaria, grande merito va dato all’intera band che è riuscita a fissare anche su quest’ultima opera il proprio imprinting, cambiando, sì, ma senza snaturarsi.
I ritmi sono più sostenuti, infatti: se le produzioni del passato suonavano debitrici degli Obituary, qui emerge sovente un background fatto di Morbid Angel e in parte Deicide. Ma ciò che colpisce al primo ascolto è quella caratteristica combinazione di riff tremolati, tra cadenze medie e blast beat, che rimane al centro dell’opera.
Riffing e assoli sono splendidamente arrangiati e contengono una neppure troppo sottile, costante vena melodica, che contribuisce sia a dare respiro all’opera, sia (cosa fondamentale, a mio gusto) a rendere i brani immediatamente riconoscibili, senza mostrare alcun segno di cedimento.
La cifra della qualità e del percorso che ci accingiamo ad affrontare, inforcando le cuffie, ce la dà già l’apertura di Relentless Appetite, sussumendo in sé tutte le caratteristiche dell’album: riff tecnici e coinvolgenti al tempo stesso, fluidità, assoli di livello (uno di stampo slayeriano, l’altro più classicheggiante per sonorità e struttura), violenza ad alto grado di controllo, finendo per incanalarsi lungo il solco della melodia.
E quando i ritmi si fanno più cadenzati, come in Cybernetic Harvest, le malevole intenzioni dei nostri artisti risaltano ulteriormente, poiché è il riffing stesso, lungo l’intero corso della canzone, a tracciarne il profilo melodico, oltre a contenere un breakdown da urlo che non guasta mai. In To Conquer The Devout, il blast-beat sembra riprendere il sopravvento, senonché a metà brano un riff creepy prende il dominio della scena, restituendo il primato a un refrain malato che conquista.
Melodia, dunque, come chiave di lettura del disco e che trova il suo compendio direttamente nel riff portante nell’episodio di Forever in Sufference, in quello che, per dinamicità e cambi di tempo, rappresenta uno dei momenti più groovy di Fragments Of Ageless. Invece, in Verminous Embodiment sono le linee vocali a piantarsi nelle sinapsi, mentre la band pompa i bassi dando vita al passaggio più sulfureo che si possa immaginare. Il richiamo agli ultimi Cannibal Corpse, per dire, non si concretizza solo nel titolo.
L’interludio di Ceremony Of Impiety, goticheggiante e arricchito dal pianoforte, anticipa il trittico più entusiasmante del platter, dove la violenza, devastante e squisitamente floridiana, di Void Of Dispair viene arricchita e fluidificata da un lungo e superbo assolo, ritrovando il suo bilanciamento perfetto nei tempi medi e nel groove mozzafiato di Unmerciful, la traccia a cui, giustamente, gli Skeletal Remains concedono più spazio: una continua rivelazione, la mia preferita.
Tre è il numero perfetto, e allora la triade del successo si conclude nella strumentale Evocation (The Rebirth), che riprende, in forma riveduta e corretta, il leitmotiv della opening track da cui si dipartono le più suadenti e fruttuose diramazioni sonore, ricamate a colpi di asce a sei corde. La chiusura è una chicca ed è riservata alla furia devastatrice di Messiah Of Rage, omaggio piuttosto fedele agli Hate Eternal: asciutta, secca e senza compromessi.
Chi, come me, cresciuto a pane ed Entombed, non può che adorare Fragments Of The Ageless: qui si fa un salto nel death-metal old-school ma foderato di attualità. Un vero e proprio appagamento dei sensi per vecchi e nuovi amanti dei metalli pesanti. E non vi stancherete facilmente di ascoltarlo. Semplicemente imperdibile.
Tracklist:
1.Relentless Appetite 2.Cybernetic Harvest 3.To Conquer the Devout 4.Forever in Sufference 5.Verminous Embodiment 6.Ceremony of Impiety 7.Void of Despair 8.Unmerciful 9.Evocation (The Rebirth) 10.Messiah of Rage (Hate Eternal cover)
Line-up:
Mike De La O – chitarra
Chris Monroy – chitarra, voce
Pierce Williams – batteria
Brian Rush – basso
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