Straight To Pain: recensione di Cycles

Straight to Pain

Cycles

Hellbones Records

25 ottobre 2019

genere: metalcore, melodic death metal, groove metal.

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Recensione a cura di Marco Milo

“Panta Rei” affermava dopotutto Eraclito, intendendo che nella vita “tutto si muove e nulla sta fermo”.

Forse è questo, quello che a cui devono aver pensato gli Straight To Pain in seguito all’uscita dal gruppo dello storico chitarrista, Nicolò Varaldo. E delle buone conferme di ciò le abbiamo prima di tutto dal fatto che abbiano deciso di ristrutturarsi introducendo tra i loro i ranghi non un uno, ma ben due nuovi
protagonisti: Marco Salvatori e Thomas Laratta (entrambi alle sei o più corde).

Ma rapiti e ispirati dal demone del cambiamento, decidono anche di mettersi immediatamente all’opera e
prestare le loro menti a un nuovo progetto, che si tramuterà nel loro terzo album in studio, denominato Cycles e uscito per Hellbones Records il 25 ottobre 2019.

Gli appassionati del genere si dividono tra chi parla di E-voluzione e chi invece definisce l’ultima fatica degli STP un’In-voluzione. Il punto è che il processo creativo in musica è del tutto assimilabile a una reazione chimica: cambiando i reagenti il risultato ottenuto sarà ogni volta diverso. Per questo motivo, con le due nuove affiliazioni era inevitabile (ma anche auspicabile!) andare incontro a una RI-voluzione identitaria.

Le sonorità metalcore rimangono comunque le solide fondamenta su cui è stato costruito lo stabile savonese, ma ai piani alti si edifica con estro: groove metal, prog, djent e melodic death metal.
Che la volontà dei Nostri fosse quello di creare un progetto più complesso nella scrittura e nella struttura, lo si intravede dall’inserimento nel CD di brevi intermezzi (di ispirazione progressive), che da un lato contribuiscono a creare suspence e atmosfera per i brani che li seguono e dell’altro dotano l’LP di un proprio sistema narrativo a capitoli.

É in questi tre sketch che abbiamo un assaggio delle contaminazioni “synthetiche” con cui il loro core è stato rimodellato. Parliamo di Recalling A Lifetime, nebulosa traccia di apertura, e di To The Brightest Star, in cui chitarra e sintetizzatori si intrecciano per un epilogo dai toni malinconici. Al centro della tracklist è invece inserita Before The Abyss, intimo e accigliato solo di acustica alla Steve Howe degli Yes.

Ad aprire realmente le tende del sipario sul disco è tuttavia Shaping The Experience che, nonostante il tasso
tecnico dell’esecuzione, riesce ad essere altamente accattivante e a coinvolgente, grazie a un’intelaiatura labirintica e una frenetica varietà di movimenti concentrati in poco meno di quattro minuti. In breve: il migliore dei nove brani presentati.

Meno sperimentali negli arrangiamenti e più immediate all’ascolto sono le successive Superior Condition e Rith The Awakener. Mentre in quest’ultima l ritroviamo un ritmo molto tirato e sincopato, dominato da un growl profondo e dalla batteria che si libera nel tipico blast beat, il primo è un pezzo che evidenzia maggiormente la ricerca melodica perseguita dal gruppo in Cycles.

Superior Condition sarà, infatti, l’inno delle folle: una massiccia e cadenzata sezione ritmica accompagna un ritornello molto orecchiabile in cui
growl e voce normale si dividono la scena. Il brano sviluppa infine delle tradizionali sonorità metal, su cui si libera un epico ed emozionale assolo da fine concerto.

Vi sembrerà davvero di inabissarvi sino a raggiungere le più profonde viscere della Terra con Down At The Roots Of The World, in cui la potente voce di Mr.Luise fa a gara con il basso oltre il muro dei decibel di Andrea Core per stabilire chi raggiunga tonalità più cupe e rabbiose.

Interessante come la partitura delle
chitarre elettriche sia stata costruita interamente a partire dal refrain di acustica già presentato in Before The Abyss, creando così con quest’ultima una struttura “uroborica”.

A chiudere questo long playing sono infine The Messengers e Beyond The Origin. Entrambe meno brillanti nella scrittura rispetto alle precedenti sorelle, dimostrano comunque da parte degli Straight To Pain una certa padronanza e dimestichezza col genere da cui provengono e con cui maggiormente si identificano. Della prima plaudiamo però sicuramente la struttura energicamente crescente e l’elegante linea di basso che fluisce in sottofondo.

Con Cycles, gli Straight To Pain mettono a segno un colpo che gli vale un contratto con la Hellbones Records. I Nostri hanno mostrato in trentanove intensi minuti la loro resilienza di fronte al cambio di formazione, che li ha coraggiosamente portati ad osare facendo sbarcare il metalcore e il death metal sulle coste del
progressive e del groove metal. Il risultato è un buonissimo album che vive assolutamente di molte luci e pochissime ombre e che ci fa considerare il 2019 come l’anno zero dei nuovi STP.

Membri:

Simone Luise (Voce)

Stefano Ravera (Batteria)

Marco Salvadori (Chitarra)

Thomas Laratta (Chitarra)

Andrea Core (Basso)

Tracklist:

1. Recalling a Lifetime

2. Shaping The Existence

3. Superior Condition

4. Rith the Awakener

5. Before The Abyss

6. Down at the Roots of the World

7. The Messengers

8. Beyond the Origin

9. To The Brightest Star

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