Terrifier: recensione di Trample The Weak, Devour The Dead

Terrifier

Trample The Weak, Devour The Dead

Empire records

23 maggio 2023

genere: thrash metal

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Recensione a cura di Marco Calvarese

Questo è l’album che non avrei mai dovuto ascoltare: quando qualcuno irrompe sulla scena e ha i mezzi per dominarla, tutto deve incastrarsi al posto giusto. Altrimenti ci resto male.
I Terrifier hanno le carte in regola per riportare in auge il thrash puro, crudo, diretto, senza compromessi né contaminazioni o diavolerie moderne, e mi aspetto solo che lo facciano, senza se e senza ma.

Combo canadese attivo da inizio secolo, ma solo da un decennio con l’attuale denominazione, erano reduci da una pubblicazione di tale dirompente qualità (Weapons of Thrash Destruction, 2017) da far gridare al miracolo: ritmi à la Exodus, riff mutuati dal meglio dei primi Metallica, Megadeth, Testament, cambi di tempo emozionanti e nessuna tregua sonora. Cosa poteva andare storto?

Presentatomi da amici e conoscenti come un must have imprescindibile e con obbligo di gradimento, il nuovo LP fresco di stampa, Trample The Weak, Devour The Dead, mi è finito tra le mani da qualche settimana e una volta inforcate le cuffie sapevo già, per forma mentis, che sarei andato a cercarci (con la speranza di non trovarlo) il pelo nell’uovo.

Ma in verità non ho dovuto scavare. A una band con questo potenziale, con un nome inciso da subito e non senza ragione nell’albo d’oro della “new wave of thrash”, non si deve rendere un servigio così pessimo in fatto di produzione sonora: semplicemente, non posso accettarlo!

Mi pare chiaro come il sole che al gruppo non abbia giovato né passare da 5 a 3 elementi, né cambiare label: batteria ovattata, sessione ritmica impastata e chitarra a volte talmente decompressa da risultare gracchiante finiscono per fare un miscuglio di cui nessuno, ma in modo particolare un gruppo che fa di blast e tremoli la propria chiave di interpretazione del genere, avrebbe sentito il bisogno.

Il risultato complessivo è quello di trasformare un album di valore in una specie di zuppa in cui gli ingredienti (che siano i singoli episodi o i singoli strumenti), seppur squisiti, poco si distinguono. Intendiamoci: il sapore è ottimo, ma è come cucinare anatra all’arancia nella friggitrice ad aria appena usata per le patatine.

C’è una gran voce con ottime linee vocali, c’è un riffing mozzafiato e deliziosamente ispirato soprattutto al giovane Dave Mustaine; la variazione sul tema è assicurata da cambi di tempo che sono zucchero sul burro per gli amanti dello speed thrash come me, gli assoli risultano perfettamente contestualizzati e c’è un atmosferico ricorso ai cori “gang”, che fa tanto vintage. Ma cotante premesse non trovano poi il giusto sfogo uscendo dalle casse: dov’è finita la nitidezza che valorizzava l’album precedente?

Dal fiume sonoro che travolge tutto, ascoltatore compreso, ma porta con sé anche una melassa che tutto copre, emergono perle che hanno la forza di tirare la testa fuori da questa patina, ma non basta a cancellarmi la malinconia ferragostana.

Ci provano da subito, questi ragazzi della British Columbia: Trial By Combat è una sassata con graditi rimandi ad Alex Skolnick e ai miei anni d’oro, coinvolgente e ricca di spunti, ma davvero il primo impatto è inficiato dalla qualità dell’ascolto e, durante l’intermezzo strumentale, il disturbo si acuisce. Ci sono poi Perpetual Onslaught e Bones Of The Slain, episodi che manderebbero in visibilio i fan di Peace Sells o Rust In Peace – al punto che ti aspetti di sentire da un momento all’altro la voce digrignata e acidula di Mustaine – salvo i passaggi in blast in cui, però, si perde nuovamente il gusto del suono.

Spiccano, a mio avviso, su tutte Grinding The Blade, una vera macchina da guerra lungamente strumentale e sapientemente articolata, e la stupefacente Dawn Of The Slaughter, in cui fanno capolino elementi qui inattesi come breakdown e growl, mai appiattiti, anzi valorizzati dai ritmi elevatissimi, capaci di superare ogni limite per qualità e impatto.

Ma ogni pièce meriterebbe miglior sorte: odio ripetermi, ma questo, se non è una delusione, è senz’altro il più grosso e grasso “what if” degli ultimi anni. Perché i Terrifier pestano durissimo, magari evocando le linee melodiche o i ritmi barbarici di Kill’Em All o Killing Is My Business, come in Depths Of The Storm Scepter; danno prova di maestria negli arrangiamenti, talora con risultati entusiasmanti (la closer Awaiting Desecration, dove la chitarra ricama trame fiabesche su una ritmica che introduce elementi groove), talora con qualche filler un tantino meno baciato dalla musa (come la veloce Death And Decay).

Sono certo che i Terrifier scuoterebbero anche i cadaveri, dal vivo, ma la resa acustica di questo prodotto è davvero penalizzante. E dire che finanche la cover, in perfetto stile vetero-thrash, prometteva così bene… Peccato davvero.
Intendiamoci: questa non è una bocciatura e anzi, se non vi aspettate i palm muting o l’effettistica cui ci hanno abituato i musicisti dagli anni ’90 in poi, se non siete troppo schizzinosi sull’ingegneria del suono, questo è l’album thrash che fa per voi.

Perché la band ha una verve creativa e una qualità fuori dal comune e devasta quasi in ogni episodio, ma nulla mi toglie dalla testa che questo sia un passo indietro e che, con una formazione al completo, Trample The Weak, Devour The Dead avrebbe potuto essere un album più vario, altrettanto monolitico, ma con una qualità sonora decisamente migliore. Insomma: una bellissima incompiuta.

Tracklist:

01. Trial by Combat
02. Perpetual Onslaught
03. Bones of the Slain
04. Depths of the Storm Scepter
05. Grinding the Blade
06. Death and Decay
07. Dawn of the Slaughter
08. Awaiting Desecration

Membri della band:

Chase Thibodeau – voce, basso

Rene Wilkinson – chitarra

Kyle Sheppard – batteria

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