The Good The Bad and The Zugly: la recensione di Algorithm & Blues

The Good The Bad and The Zugly

Algorithm & Blues

Fysisk Format

17 gennaio 2020

genere: hardcore, punk & roll, death-punk

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

Un futuro dominato dalla matematica, in cui è possibile controllare le masse attraverso il potere degli algoritmi, non è più materiale esclusivo per le fantasie distopiche di romanzi profetici. Nella cultura contemporanea, il confine tra reale e virtuale si è fatto sempre più sottile, così maledettamente digitale e senz’anima, in antitesi con le radici soul della musica blues.

L’accoppiata “algoritmi e blues”, nella stessa frase, sembra quasi un ossimoro. Non per i The Good The Bad and The Zugly (monicker ispirato al classico spaghetti western del 1966), quintetto punk hardcore originario di Oslo (luogo “tanto caro” a Varg Vikerness) che ha da poco rilasciato, per la Fysisk Format, il suo quarto album (a distanza di due anni dal precedente Misanthropical House) dal titolo Algorithm & Blues, composto da 13 tracce per la durata di 35 minuti.

Dopo i primi 58 secondi della opener track Welcome to The Great Indoors, chiaro tributo alle note di due classici del rock quali Thunderstruck degli AC/DC e Welcome to The Jungle dei Guns N’ Roses, preparatevi ad abbandonarvi al rumore smargiasso e mefistofelico dei Zuglys, che potremmo definire, semplicemente, brutti, sporchi e cattivi.

Torna alla ribalta il punk & roll scandinavo degli anni Novanta (death-punk per i più sgamati), che a suo tempo teneva testa al punk americano e britannico. Sebbene, il rock and roll nordico abbia sempre snobbato, con sfacciataggine, le classifiche mainstream, ergendosi a nuovo eldorado della musica punk di nicchia.

I The Good The Bad and The Zugly rendono, così, omaggio alla tradizione ortodossa del rock scandinavo, quasi in nome di una sorta di protezionismo nazional-popolare: i cinque norvegesi danno una bella spolverata alle scaffalature della scena punk-hardcore a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, rivitalizzano le sonorità spaccaossa dei connazionali Turbonegro e si assestano sulle linee guida moderne dei Kvelertak (non a caso, uno dei cantanti del gruppo è Ivar Nikolaisen, nuovo frontman dei Kvelertak). Senza dimenticare, ovviamente, l’influenza esterofila di mostri sacri come AC/DC e Motörhead.

Algorithm & Blues è un lavoro discografico che dà libero sfogo a contenuti d’attualità politicamente scorretti, provocatori e dissacranti; un disco citazionista, parodistico e dall’elevato tasso alcolico, nel quale si rincorrono ragione e sentimento, riff killer e sirene della polizia, che manda affanculo la vita ma, al tempo stesso, si interroga su come viverla.

La band norvegese, così come fanno i salmoni nordeuropei, risale la corrente del passato per raggiungere i suoi luoghi d’origine, tra colpi di raucedine e urla sguaiate à la Hank Von Hell, chitarre grattugiate ed iper-veloci, a mo’ di seghe elettriche, sonorità tritacarne, accattivanti, crunchy e senza compromessi, e ritmiche martellanti, melodiche, divertenti, perverse, trasandate e pompose.

Insomma, il punk ha un lunga storia e che porta con sé un’eredità non convenzionale. Come in ogni settore della vita, dovremmo fidarci degli esperti. Ed i The Good The Bad and The Zugly lo sono, eccome. Benvenuti nel loro mondo.

Tracklist:

1. Welcome To The Great Indoors

2. Fake Noose

3. Staying With The Trouble

4. King Of Convenience

6. The Man Behind The (Oxygen) Mask

7. Fuck Life… But How To Live It?

8. Corporate Rock

9. What Have You Done For Me Lately?

10. The Kids Are Alt-Right

11. Fuck The Police

12. (Kisteglad)

13. Requiem

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