U2: recensione di The Joshua Tree – 9 marzo 1987

U2

The Joshua Tree

Island Records

9 marzo 1987

genere: rock pop, elettronica, folk rock, blues, new wave

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Recensione a cura di Andrea Musumeci

9 Marzo 1987. A tre anni dal precedente The Unforgettable Fire, gli U2 pubblicano il loro quinto album in studio intitolato The Joshua Tree, edito per Island Records.

Prodotto da Brian Eno e Daniel Lanois, The Joshua Tree vinse il premio come album dell’anno alla cerimonia dei Grammy Award del 1988, ed attualmente occupa la posizione 26 nella lista dei 500 migliori album secondo la rivista Rolling Stone. Insomma, quando ti affidi a un produttore come Brian Eno, la strade del successo un nome ce l’hanno, eccome. Il luogo che ha ispirato il titolo, e parte delle foto di questo disco, raffigura il Parco Nazionale degli Alberi di Josuè, nel Sud della California.

The Joshua Tree è stata la svolta commerciale (nell’accezione pop) per Bono Vox e compagni: se da una parte il loro sound risentiva della contaminazione elettronica importata da Brian Eno, dall’altra si apriva alle nuove esigenze del music business (aprendosi anticipatamente a quello che sarebbe stato il leitmotiv sonoro del decennio successivo), mantenendo sì la propria identità, ma al contempo prendendo le distanze dal mood dei lavori precedenti, tanto da far storcere il naso ai fan della prima ora.

Un nuovo spartito, con uno stile più affine al rock and blues degli anni ’70: basti pensare a pezzi come Bullet the Blue Sky, fortemente ispirata a When the Levee Breaks dei Led Zeppelin, oppure alle sonorità new wave dark di Exit, brano che ricalca le atmosfere cupe dei The Sound del periodo Jeopardy.

Forse, senza volerlo, e senza nemmeno rendersene conto, Bono scrisse la sua Don’t Let Me Down, strategicamente sistemata al termine di quel terzetto di masterpiece che pochi gruppi e artisti al mondo possono vantare, mettendo in sequenza tre cavalli di battaglia come Where the Streets Have No Name, I Still Haven’t Found What I’m Looking For e With or Without You.

Sembra che Bono abbia concepito With or Without You dopo aver ascoltato, più volte, l’album Climate of Hunter di Scott Walker. L’idea non era solo il voler fotografare una storia classica e trasmettere il concetto superficiale di un uomo che può (e non può) vivere con o senza la sua donna, ma più che altro, ampliando il messaggio a un livello superiore, l’intento era quello di raccontare quel dualismo ancestrale e conflittuale degli opposti che da sempre accompagna l’essere umano, dove mondo interiore e mondo esteriore si incontrano nella tensione spirituale del viaggio dentro sé stessi, dove perdersi rappresenta l’unica condizione per ritrovarsi.

Di fatti, With or Without You è un brano che si presta a diverse interpretazioni, a differenti piani di lettura, perché il destinatario può cambiare a seconda delle sfumature: può essere infatti rivolto a una donna, a Dio, o a Bono stesso. Tante, oltretutto, le letture live di questa canzone: da ricordare quella di Temple, Arizona, il 4 aprile del 1987, quando gli U2 inserirono all’interno di With or Without You alcune parti di Love Will Tear Us Apart dei Joy Division.

The Joshua Tree è, dunque, l’atto poetico ed evocativo che consacra gli U2 nel firmamento del rock mainstream: un’opera musicale dall’aura mistica che, ancora oggi, a distanza di 35 anni, divide umori e opinioni all’interno del vasto fanclub degli U2, attraverso infinite dispute tra quei sostenitori che avrebbero voluto cristallizzare l’ispirazione primordiale della band irlandese e quelli che, invece, hanno voluto comprendere l’evoluzione artistica, e umanistica, di uno dei gruppi più famosi della storia della musica.

E voi, nel frattempo, avete trovato ciò che stavate cercando?

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