Rock e metal: messaggi subliminali e comprensione del testo.

23 dicembre 1985: il diciottenne Raymond Belknap si sparò un colpo in testa con un fucile mentre ascoltava Stained Class dei Judas Priest, ed il suo amico James Vance, di ventuno anni, provò a fare la stessa cosa ma fallì inspiegabilmente.

Viene da chiedersi come mai due ragazzi del Nevada siano arrivati a pensare che un cantante gay di un gruppo metal inglese gli stesse dicendo di ammazzarsi.

La prima volta che mi capitò di ascoltare Stained Class dei Judas Priest, ricordo che non mi entusiasmò granché. A dire il vero nemmeno oggi, dopo parecchi anni, per quanto mi possano piacere i Judas Priest. Diciamo che preferisco altri album della loro discografia, ma questo è un altro discorso.

In generale, possiamo dedurre che i ragazzi tormentati sono attratti dell’heavy metal, o comunque da una certa tipologia di rock.

Ovviamente certe ossessioni così autodistruttive hanno radici profonde e vanno ben oltre la psicologia da quattro soldi. Ozzy Osbourne, ad esempio, fu addirittura accusato di alcuni suicidi di ragazzi adolescenti avvenuti tra il 1984 e il 1988.

Nessuno si sognerebbe mai di affermare che è colpa della musica se quelle persone sono andate fuori di testa, ma allo stesso tempo sarebbe inverosimile non considerare che ci sia comunque un legame tra le due cose.

Ogni anno l’industria pubblicitaria spende miliardi di dollari, o euro, perché tutti sanno che le informazioni che arrivano ai consumatori andranno ad influenzare la loro mente. Quindi, se è vero che adolescenti e adulti vengono condizionati dalla pubblicità della Coca Cola, o da quella di un nuovo smartphone, perché la stessa cosa non poteva essere valida anche per Rob Halford e soci?

La differenza sostanziale è che il frontman dei Judas Priest non hai mai detto esplicitamente a qualcuno di suicidarsi.

Negli anni ’80, stando ai fatti di cronaca, genitori e avvocati se la sono presa con Suicide Solution di Ozzy Osbourne. Ma il titolo della canzone è del tutto fuorviante, perché in teoria non ha niente a che fare con il suicidio.

Al giorno d’oggi, dopo i recenti fatti di attualità, una parte dell’opinione pubblica ha puntato il dito contro alcuni rapper e trapper italiani, per via dei loro testi sessisti, fin troppo espliciti, e indirizzati ad un target di pubblico di età molto giovane.

Tornando ai fatti del 1985: un ragazzo, ossessionato da un disco a tal punto da arrivare a togliersi la vita, deve aver ascoltato per forza i testi di quelle canzoni, o, quantomeno, aver letto almeno il libretto coi testi.

Ed è difficile capire il modo in cui alcuni adolescenti interpretino i messaggi verbali della musica. Che poi, nella maggior parte dei casi, la musica tende ad essere più persuasiva delle parole, che spesso hanno un significato nemmeno così facile da cogliere, tant’è che all’epoca eravamo costretti ad codificare quei messaggi dell’heavy metal. Qualora ce ne fossero stati.

E forse, in molti casi, il problema era proprio quello; una parte di loro, evidentemente, pur amando quella musica, non riusciva a comprenderla, e così gli ha attribuito un significato troppo importante.

Non mi spiegherò mai perché quella musica, che in fase adolescenziale mi aveva soltanto fatto venire voglia di avere i capelli lunghi, abbia spinto qualcun altro ad ammazzarsi. Alle persone normali non interessa minimamente quello che pensa Ozzy, ma pare che i pochi che ci tengono a saperlo vadano in confusione fino ad arrivare a tragici eventi, come è avvenuto in passato.

Tutto questo per mostrare quanto sia importante la percezione delle cose, che è il punto di partenza da cui costruiamo il contesto delle nostre vite. Uno degli aspetti interessanti del metal anni ’80 è che fu uno dei generi musicali che divenne popolare in quel periodo e che riuscì a diffondersi in un contesto multimediale facilmente raggiungibile praticamente da tutti. Questo è ciò che significa trasformarsi in un prodotto pop.

La musica del macro-universo rock ha quasi sempre usato espressioni figurate e allusioni per raccontare le proprie storie. La musica rock ha quasi sempre usato la letteratura come musa ispiratrice, fornendo spesso spunti di riflessione per tutte le generazioni successive.

È altrettanto vero che alcuni artisti rock del passato, stranieri e italiani, hanno scritto canzoni famose, usando un linguaggio esplicito nei testi, toccando temi come le droghe, oppure a sfondo sessuale. Ma alla fine, se andate a cercare, sono sempre le stesse canzoni, ed in minoranza rispetto a tutte le altre: tra le piu note, Heroin dei Velvet Underground, Cocaine di J.J.Cale, e nella versione più conosciuta di Eric Clapton, Brown Sugar dei Rolling Stones.

Lucy in the Sky with Diamond è ormai codificata come un brano sull’uso dell’LSD, ma è solo un’interpretazione. Tesi, tra l’altro, mai confermata da alcun componente dei Beatles.

Purple Haze di Jimi Hendrix racconta un suo sogno, non parla esplicitamente di sostanze allucinogene, nonostante le diverse interpretazioni.

Sex and Drugs and Rock and Roll divenne un inno punk, e del mondo rock in generale, ma le intenzioni di Ian Dury erano differenti, nonostante la maggior parte dei fan si fermò al titolo e al ritornello.

Bollicine di Vasco Rossi non tratta esplicitamente il tema delle droghe, parla della Coca Cola che portava con sè anche a scuola.

La Bamba di Ritchie Valens,a dispetto del titolo, ovviamente, non parla di un capitano marinaio che fa uso di sostanze stupefacenti per ballare con particolare grazia.

I’m Waiting for the Man dei Velvet Underground non parla esplicitamente di un tossicodipendente che va a cercare il suo spacciatore.

In I Don’t Like Mondays, Bob Geldof non è che odiasse seriamente il primo giorno della settimana dopo i bagordi del weekend.

Zombie dei Cranberries non era un omaggio alla carriera del regista George Romero, così come Satan’s Bed dei Pearl Jam non parla veramente di Satana.

Qualche bifolco (scusate ma non saprei come definirlo in maniera differente ed ho usato anche un eufemismo) cita la famosa frase di Jim Morrison, tratta dal brano The End, “Father I want to kill you, mother I want to fuck you”, che invece, altro non era che un omaggio all’Edipo Re’ di Sofocle, ossia, una metafora sulla crescita dell’essere umano, del passaggio dalla gioventù alla vita da adulti.

Ma parecchi hanno semplicemente tradotto alla lettera quella frase: si sono cavati gli occhi come fece Edipo.

La giornata perfetta di Lou Reed non era la semplice descrizione di una passeggiata nel parco, mano nella mano con la sua dolce metà. E non penserete veramente che in Lemon Song, Robert Plant volesse davvero decantare l’effetto vitaminico del succo di limone. Potremmo andare avanti per giorni facendo esempi di testi subliminali dei brani rock.

Per non parlare poi dell’ultimo successo pop di Achille Lauro presentato all’ultima edizione del festival di Sanremo, Rolls Royce, che formalmente di presenta come un gentile omaggio alla famosa e regale automobile, ma che invece è un riferimento implicito a determinate droghe in pasticche.

Tuttavia, col tempo, i mezzi di comunicazione di massa, ed il concetto di omologazione, hanno annientato il ruolo della metafora, e soprattutto l’importanza di stimolare la mente. Ad un certo punto hanno iniziato a convincerci che siamo tutti uguali, che tutti possono fare tutto, pur non avendo alcun background formativo: il famoso DIY, comunemente chiamato fai da te, nato alla fine degli anni Settanta con le etichette indipendenti e l’autoproduzione.

Oggi, alcuni generi usano un linguaggio esplicito, spinto, senza filtri, e fanno musica destinata ad una fascia di pubblico d’età molto giovane, molto influenzabile.

Tutti siamo stati giovani e trasgressivi, con l’illusione di essere invincibili, per quello che ci è stato concesso e per quello che abbiamo potuto.

Il problema, oggi, non è tanto ascoltare questo o quel cantante; il problema è che molti adolescenti, spesso compresi tra gli 12 e i 16 anni, non si soffermano neppure sui messaggi delle canzoni, ma seguono alcuni artisti, o pseudo tali, solo perché lo fa la massa, per non sentirsi esclusi dal gruppo.

Nella maggior parte dei casi non c’è alcun sottotesto, nessun riferimento culturale, nessuna metafora, nessuno spunto di riflessione.

Scusate, ma così che gusto c’è? Senza corteggiamento, che gusto c’è?

Ecco che allora torniamo al concetto di omologazione, che, negli anni, ha assassinato la creatività e l’identità dell’essere umano, quell’omologazione che fu introdotta sin dai primi anni ’90 con l’avvento della moda grunge.

La preoccupazione di essere diversi.

Quando eravamo adolescenti, negli anni ’80 e ’90, i nostri idoli erano solo idoli, nulla di più. Faceva figo ascoltare i Doors, ma non mettevamo in pratica quello che cantava Jim Morrison.

Negli anni ’80, in un contesto sociale decisamente bacchettone, in cui i telepredicatori demonizzavano la musica rock, non è che fossimo circondati da un gran senso dell’umorismo, ed è per questo motivo che i Mötley Crüe venivano considerati una band satanica.

Oggi, questo ricordo fa un sorridere e anche un pò tenerezza. Eppure, noi adolescenti rockettari cos’avevamo in comune con il mondo delle rockstar? Assolutamente nulla.

Ti dicono che “i tempi sono cambiati”, ti liquidano così, con una delle tante frasi confezionate, come se tutti noi fossimo deresponsabizzati da quello che ci accade intorno.

L’arte, in teoria, deve far vivere un viaggio, deve tracciare un percorso, deve lasciare un segno, deve dare un messaggio, deve far riflettere, deve stimolare la fantasia di chi ne fruisce. Se l’arte manca in questo, semplicemente, non è arte.

Ma è altrettanto vero che l’arte nasce dalla vita, e di conseguenza rappresenta sempre il momento storico e culturale in cui si manifesta. Ognuno poi tragga le proprie conclusioni in merito ai tempi moderni.

Facile dare agli altri le proprie colpe e responsabilità, soprattutto da quando smartphone, internet e videogiochi hanno rimpiazzato il ruolo delle baby sitter, o in forma ancor più grave, quello dei genitori.

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